Capitolo 3 – SEPOLTO NELLA MEMORIA, AFFRONTATO NEL CUORE
Un dardo di balestra sibila nel buio, rompendo la quiete di quella notte. Dopodiché un urlo atroce e delle risate. Degli scarponi stracolmi di fango lasciano dietro di sé il putridume della palude circostante l’abitazione. Sanctius si sveglia di soprassalto, agitato e in preda al panico scende di corsa le scale che separano la sua cameretta dai rumori. Non appena arrivato nel salone rimane impietrito, ciò che vede è troppo forte per chiunque, figuriamoci per un giovanissimo vampiro come lui. Sua madre giace per terra e il suo sangue zampilla fuori dalle vene formando sul parquet quello che ai suoi occhi appare come un oceano di sangue. Al fianco della giovane donna c’è un uomo dal volto coperto, con indosso un lungo giaccone rosso porpora.
I suoi occhi lasciano attoniti da quanto odio trasudano e la sua giubba è riempita di simbologia cristiana e la sua balestra, riposta sulle spalle, ha delle rifiniture rosse su tutto il legno, con scolpite di rosso sangue delle ali d’angelo. L’uomo si china sulla vampira e con la calma di un boia estrae un paletto di frassino, puntandolo direttamente al cuore della madre di Sanctius. La giovane Cassandra, questo era il suo nome, lo aveva sempre detto e percepito, lo sentiva nel suo cuore che quel triste giorno sarebbe arrivato. Gli umani, quei bifolchi assassini sono in grado di provare solo odio e di perpetrarlo non soltanto tra loro stessi, ma coinvolgendo anche altri innocenti. Rivolse il capo verso la porta, scorgendo gli occhietti di Sanctius, nascosto nel buio. “Ti voglio bene” sarebbero state le sue ultime parole, se i suoi occhi avessero potuto effettivamente proferire parola. Cassandra esala il suo ultimo respiro, neanche più la forza di urlare, rassegnata al suo destino. Il boia dalla giubba istoriata di malsano fanatismo si rialza e con camminata decisa esce di casa, sotto la pioggia battente e i fulmini di quella tremenda notte.
Sanctius si avvicina a passo svelto, camminando nel sangue e piangendo al capezzale della madre. Il paletto è ancora piantato nel petto e, viste le bruciature sui bordi della ferita, appare intriso in un brodo di acqua santa e aglio. L’odore fetido di quella mistura ha ormai ammorbato tutta la stanza, e non basta il petricore proveniente da fuori a rinfrescare l’aria.
«Tutto bene con quella bruschetta?» Chiese impaziente Abraham, interrompendo bruscamente i pensieri del giovane.
Sanctius scuote la testa e strabuzza gli occhi, cercando di riprendersi da quell’ondata di ricordi che ha appena attraversato la sua mente come un mare in tempesta. Come poteva aver dimenticato le circostanze della morte di sua madre? Anni di terapia non sono riusciti a risolvere quello che un dannato spicchio d’aglio è riuscito a fare in pochi minuti, scoperchiando il vaso di Pandora dei suoi traumi.
«Mi scusi Signor Van Helsing, quest’ aglio è davvero forte.» risponde allora Sanctius.
«Appoggia pure il vassoio sul tavolino, vuoi un morso?» lo esorta Abraham.
«Non mi sembra il caso, ma non si preoccupi per me!» ribatte il giovane, ancora intontito dal ricordo struggente.
Abraham si avvicina fagocitante a quella bruschetta, come se fosse riuscito ad ottenere una piccola vittoria personale. I suoi denti ormai ingialliti mordono il pane raffermo e il palato gusta quanto preparato dal giovane vampiro. «Ottimo lavoro!» esclama il vecchio, pulendosi la bocca con un fazzoletto.
«Quindi vuoi diventare il mio assistente> afferma Abraham con tronfio entusiasmo.
«Non ne sono più così sicuro Signor Van Helsing.» risponde incerto Sanctius. «Ha qualcosa da bere? L’overthinking mi sta uccidendo.»
«Non so chi o cosa sia questo overthinking, ma se cerchi qualcosa da bere lo trovi nella credenza in alto. Consiglio il Jenever, lo trovi vicino al Whiskey!»
Sanctius continua a premersi le tempie, cercando di placare un’imprevista cefalea. Apre la credenza e versa due bicchieri di Jenever, trangugiando il primo sul posto e portando al vecchio cacciatore di Vampiri il secondo.
«Signor Van Helsing? Posso farle una domanda? Quali oggetti si usano nel suo lavoro?» chiede incredulo il giovane Vampiro, appoggiando il bicchiere sul tavolino, vicino alla succulenta bruschetta.
«Bella domanda! Ti ringrazio per avermelo chiesto.» ribatte il vecchio Abraham alzandosi dalla sua vecchia poltrona color porpora.
Abraham si avvicina alla parete ricoperta di croci e paletti, mostrando al giovane gli attrezzi del mestiere e mimando, con poca sensibilità e goffa legnosità, i movimenti concitati della battaglia contro un Vampiro. Sanctius ascolta curioso, a tratti confuso e scosso dalle metodologie.
Dopo l’ennesima spiegazione cruenta, il giovane proferisce parola.
«Ha mai provato a parlarci con i vampiri?» chiede.
«Che sciocchezza.» esclama Abraham scoppiando in una fragorosa risata. «Tutti sanno che non si può parlare con un Vampiro!»
Sanctius rimane confuso dall’affermazione del cacciatore, quasi come se questo si fosse dimenticato delle fattezze del suo interlocutore, nonché delle sue evidenti origini. Abraham tentenna e sembra riconosce l’errore appena commesso, ma è troppo orgoglioso per ammetterlo.
«Bene! Allora… ti ho già presentato Brigitta?» afferma Abraham cercando di dissimulare e continuando il suo goffo gesticolare.
«Sua moglie?»
«Da quasi quarant’anni!»
Abraham si avvicina all’altra parete, anch’essa strabordante di oggettistica utile alla caccia ai vampiri. Si allunga verso una balestra appesa in alto e gonfio di orgoglio la mostra a Sanctius, porgendogliela con delicatezza. Il giovane prende in mano questa creatura che, a scanso di equivoci, risponde al nome di Brigitta. Una splendida balestra in legno di frassino, con insenature rosse lungo tutto il manico e delle ali d’angelo color rosso sangue intagliate lateralmente.
Testo: Damiano D’AGOSTINO
Copertina: Lorenzo DUINA
Disegni: Danilo DELLA GIACOMO
Logo: Elia FELISI
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