Caper in the Castro, il primo videogioco queer
L’industria videoludica solo recentemente sta comprendendo la necessità di essere inclusivi e l’utilità di rappresentare personaggi appartenenti alle minoranze e alla comunità LGBTQ+ in modo rispettoso e reale. Su questo può fare scuola la software house francese Dontnod, che ha inserito come protagonista Tyler Ronan in Tell me Why: primo personaggio transgender protagonista in un videogioco AAA e doppiato dall’attore transgender August Black. Un esempio virtuoso che segna, a mio avviso, un punto di svolta del medium, ma anche negli stessi studi di rappresentazione.
Diverse aziende del settore hanno incominciato, anche se potevano farlo prima, ad interpellare organizzazioni di attivisti come GLAAD, che si occupano di aiutare e monitorare la rappresentazione della comunità nei media. Il cambiamento c’è ed è percettibile: i videogiochi stanno finalmente maturando e raggiungendo un grado di consapevolezza maggiore su molte istanze sociali. Ci si è resi conto che la rappresentazione è una grossa responsabilità, poiché, soprattutto all’interno di un medium complesso, si influenza la percezione che il pubblico ha di determinate questioni sociali, personaggi e sistemi. Ma arrivati all’attuale stadio di crescita dell’industria, consci di quanta strada c’è ancora da percorrere su diversi fronti e con il cuore colmo di speranza per il futuro: qual è stato il primissimo passo in questa direzione? Qual è il primo videogioco con tematiche queer nella storia del medium?

Tyler Ronan, Tell me Why (2020, Dontnod)
Non si tratta di una domanda banale, in quanto molti giochi con le seguenti tematiche hanno avuto una scarsissima, o nessuna, distribuzione e molti di loro sono andati persi nel tempo come lacrime nella pioggia. La prima risposta che può saltare alla mente è il videogioco di ruolo GayBlade, realizzato nel 1992 dallo sviluppatore Ryan Best e reso nuovamente celebre dalla docuserie Netflix High Score. Per quanto sia effettivamente uno dei primi videogiochi ad inserire personaggi e tematiche queer, sfortuntamente non è il primo in assoluto.
Il primo videogioco queer risale, invece, a due anni prima e si parla dell’avventura grafica punta e clicca Caper in the Castro, creata dalla sviluppatrice indipendente C.M. Ralph nel 1989. Questo titolo è stato per anni considerato perso ed era rimasta come una leggenda underground nei forum tematici, persino l’autrice non ne aveva più traccia. Ma un bel giorno, nel 2017, C.M. Ralph è riuscita a ritrovare una copia originale dei floppy disk di Caper in the Castro e Murder on Mainstreet mentre stava traslocando. La LGBTQ Game Archive ha immediatamente digitalizzato il contenuto per preservarne l’importanza storica e renderlo disponibile a tutti coloro che volessero giocarlo.
Spinto dalla curiosità mi sono immediatamente fiondato sull’Internet Archive per provare questa perla perduta e ho trovato un pregevole punta e clicca dalle tinte noir, con meccaniche di gioco intriganti per l’epoca. Caper in the Castro aveva fatto grandi salti in avanti in termini tecnici rispetto al capostipite delle avventure grafiche Mystery House di Sierra Entertainment, pubblicato peraltro solo nove anni prima.
Caper in the Castro cala i giocatori nei panni di un’investigatrice lesbica di nome Tracker McDyke, nella sua missione per ritrovare Tessy LaFemme, donna transgender famosa a Castro Street, nonché nostra amica. L’ambientazione dell’avventura prende il nome dallo storico quartiere gay di San Francisco The Castro, diventato negli anni un simbolo potentissimo di attivismo queer non soltanto per la realtà statunitense ma anche per il resto del mondo. Si cammina con circospezione investigativa in diversi punti del distretto, interagendo con l’ambientazione attraverso i nostri click e, in diversi casi, impartendo anche comandi testuali o segnando in autonomia gli indizi sul taccuino presente nell’interfaccia.
Originariamente il gioco è stato distribuito tramite BBS, “paleolitici” sistemi di comunicazione per la condivisione di file e messaggistica, e il suo modello di distribuzione era il cosiddetto Charityware (o Careware), ovvero non si pagava per il prodotto, ma una volta aperto il gioco la sviluppatrice invitava gli utenti a donare del denaro in beneficienza per la ricerca e la lotta contro l’AIDS. Un modello di business molto simile a quello attualmente utilizzato dal famoso sito Humble Bundle, con la sottile differenza che viene permesso al consumatore di scegliere a chi devolvere il denaro, se in beneficienza, al sito stesso oppure agli sviluppatori.

The Red Strings Club (2018, Deconstructeam)
Ma uno dei dettagli più curiosi di Caper in the Castro riguarda la sua versione più commerciale, ovvero Murder on Mainstreet. Quest’ultima non è nient’altro che una riscrittura del gioco, con nomi dei quartieri e riferimenti alle tematiche LGBTQ+ modificati al fine di permettere la distribuzione del gioco in un canale tradizionale omofobo, che dell’inclusività, dell’apertura mentale e del rispetto non sapeva cosa farsene. In un’intervista rilasciata da C.M. Ralph nel 2014 a Paste Magazine, l’autrice racconta il contesto di quella scelta:
It was published by Heizer Software. Back then you could order software written by indie programmers from mail order catalogs. They sold the game for several years. Basically all I did was change the names and places. My reasoning was that I wanted to tap into the mainstream audience—1988 was a lot different than 2014 when it came to how LGBT people and issues were viewed and treated.
E’ stato pubblicato da Heizer Software. All’epoca potevi ordinare per posta da cataloghi di vendita software sviluppati da programmatori indipendenti. Hanno venduto il mio gioco per diversi anni. Semplicemente modificai nomi e luoghi. Il mio ragionamento era che volevo vendere al pubblico tradizionale. Il 1988 era un periodo completamente differente quando si parla di come le persone e le istanze LGBT venivano viste e trattate.
L’autrice racconta come negli anni ’60 e ’70 si rischiava l’arresto per il solo fatto di essere gay, fino a quando nel 1973 l’American Psychiatric Association comprese e smise di classificare l’omosessualità come una malattia mentale; l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) arrivò allo stesso risultato soltanto il 17 maggio del 1990. Nell’industria videoludica contemporanea, fortunatamente, è visibile un netto miglioramento nella capacità di trattare tematiche sociali importanti e di affrontare con determinazione le discriminazioni strtturali perpetrate sia nella rappresentazione che negli ambienti lavorativi. La stampa di settore sta maturando e riportando queste notizie con maggiore frequenza, per stimolare cambiamenti progressivi all’interno delle grosse aziende.

Ellie e Dina, The Last of Us Part II (2020, Naughty Dog)
E’ necessario continuare a portare varietà e, soprattuto, qualità nella rappresentazione per migliorare un medium dalle incredibili potenzialità comunicative e capace di parlare alle viscere del pubblico per sua stessa natura. C’è un bisogno impellente di opere radicali come Tell me Why di Dontnod, The Last of Us di Naughty Dog o The Red Strings Club di Deconstructeam. Opere radicali come fu Caper in the Castro nel neanche troppo lontano 1989, capaci di dare voce a personaggi nuovi e di far sentire rappresentate delle persone cha altrimenti non si ritroverebbero nelle opere che giocano e che continuerebbero a sentirsi escluse da uno dei medium più espressivi mai creato dall’essere umano.
di Damiano D’Agostino
Foto di copertina di Max Templeton su Unsplash.
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