Spazio: ultima frontiera

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Spazio: ultima frontiera

Che il cosmo rappresenti un concetto dal fascino irrefrenabile per molti videogiocatori è cosa nota da almeno quarant’anni, quando il primo Elite (1984) giunse sulle piattaforme di allora, come il BBC Micro, lo ZX Spectrum od il Commodore 64.

Ma per “spazio” forse non è opportuno intendere soltanto il gioco con le astronavi nel quale ci si sposta di pianeta in pianeta o di sistema in sistema: non è soltanto spaziale il gioco nel quale l’azione si svolge a zero G, ma lo è anche quello nel quale il tema del viaggio al di fuori dei confini planetari è centrale. In questo senso, la somiglianza tra il videogioco fantascientifico ed il videogioco “spaziale” sembra essere molto forte, ma non per questo è assoluta.

Il videogioco ambientato nello spazio risponde infatti a regole particolari che non sono le stesse di quello fantascientifico: il primo infatti fa del cosmo la sua ambientazione primaria ed il nucleo dentro al quale si dipanano gli avvenimenti e le avventure del giocatore, mentre il secondo è più che altro legato a temi sociali più o meno ad ampio spettro che prima di tutto prendono le mosse da un incremento tecnologico, che solo collateralmente può (o non può) toccare lo spazio in senso stretto. Del resto, questa distinzione è un corollario di una discussione molto più ampia che si sussegue da decenni, ed è nota ai più perché interessa Star Wars, da molti definito una “Space Opera” e non certo un vero e proprio film di fantascienza.

Così, è evidente che giochi come Mass Effect, Battletech, The Outer Worlds o perfino Stellaris siano “di fantascienza” più che “di spazio”, per quanto lo spazio sia un elemento essenziale nello svolgimento dell’intrigo. Al contrario, la serie X, il vecchio Freelancer o Eve Online sono propriamente giochi di spazio, nel senso che in essi lo spazio, i suoi sistemi e le sue regole costituiscono l’essenza stessa del titolo.

Le differenze principali, in termini di gameplay, si sostanziano tutte nella diversa attenzione riposta al cosmo, alle sue regole ed alle sue realtà negli uni e negli altri. Nei giochi di spazio propriamente detti il giocatore è pressoché sempre in controllo della sua nave, e si muove nel cosmo in tre dimensioni più o meno liberamente. Egli può spostarsi di sistema in sistema, trovando opportunità diverse in angoli diversi della galassia, e fruisce spesso di una simulazione economica complessa, che rende l’ambientazione spaziale realistica e interconnessa: comprare l’acqua su un sistema oceanico a basso prezzo per poi rivenderla in un pianeta desertico è una tattica certamente funzionale su giochi come X, ma non lo è certo su Mass Effect.

Proprio per questa maggiore attenzione al cosmo virtuale che i giochi di spazio hanno, da sempre il genere prediletto è il Sandbox: quella categoria di videogiochi nei quali è il giocatore stesso a porsi i suoi obiettivi (al netto di una trama principale che può esserci oppure no), e a sfruttare “il cosmo” per raggiungerla. Al contrario, nei giochi fantascientifici lo spazio è un’incidenza collaterale che non viene approfondita completamente nelle sue realtà, ma funge come un’astrazione, un contesto di un’avventura che si concentra, infine, su altre cose. Qualcuno potrebbe obiettare che anche in titoli come Mass Effect, in fondo, si viaggia per il cosmo. Ed in effetti è vero: di sistema in sistema, il Comandante Shepard vive le sue avventure. Ma non per questo il cosmo è simulato in termini di mondo virtuale: esso è il necessario contesto per collegare i livelli e le mappe, ma non è esso stesso un ambiente compiutamente esplorabile, né minuziosamente simulato.

Soprattutto, “lo spazio” non procede senza l’intervento del giocatore, perché il focus del gioco è sul giocatore e non sull’ambiente nel quale egli è immerso. Il discorso è completamente opposto, invece, per titoli come X o Freelancer. Lo spazio ha poi la straordinaria capacità di essere un guscio vuoto nel quale inserire quasi qualsiasi elemento di gameplay che lo sviluppatore voglia. Nei giochi propriamente spaziali si è vista infatti una sperimentazione incredibile da questo punto di vista. Già nei tre esempi precedentemente fatti di X, Freelancer e Eve Online si vede da una parte un sandbox singleplayer, dall’altra un gioco quasi-di-ruolo in cui la trama principale è fondamentale, e dall’altra ancora uno degli MMORPG più hardcore, liberi e vasti di sempre.

Ma le enormi potenzialità dello spazio, a volte, si ritorcono contro il gioco stesso: da troppa libertà, e da troppe possibilità, possono svilupparsi difetti e false promesse, oppure può nascere un’ambizione francamente troppo elevata. È il caso, rispettivamente, di titoli come Elite: Dangerous, che malgrado offra, in potenza, una simulazione dell’intera galassia, soffre di svariati problemi, di elementi scollegati l’uno dall’altro, e non ha ancora capito la sua natura singleplayer o multiplayer. Oppure è il caso di No Man’s Sky, ora ampiamente redento, ma che nella sua prima iterazione ha fatto dell’infinità del cosmo il suo punto di marketing fondamentale, salvo poi deludere uscendo in uno stato incompleto e abbozzato. O, infine, è il caso di Star Citizen, che da anni promette, proprio grazie alla sua ambientazione spaziale, tutto il promettibile, e che dopo quasi un decennio non ha ancora propriamente rilasciato nulla di concreto, se non un’alpha che va avanti da anni – ed un sistema di crowdfunding che genera tutt’ora milioni di dollari.

di Giacomo Conti, MMO.it

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