Paranoid Android
Maggio per noi della redazione è un mese importante. Per cominciare è il nostro compleanno e di cose, dopo soli due anni, ne sono state dette e fatte parecchie il che, a dispetto del difficile periodo, non ci fa mancare la voglia di festeggiare.
Maggio è inoltre il mese che vogliamo dedicare agli alieni, ai mostri e alla scoperta dell’ignoto. Essendo anche il mese in cui ricorre il Towel Day, ho pensato che questa rubrica potesse orbitare ancora una volta intorno alla Guida Galattica. Uno dei miei primi articoli con la redazione di Niente Da Dire parlava di asciugamani e se non lo avete letto correte subito a recuperarlo.
La storia in cerca di un lieto fine di cui Felisi & Contenti vuole occuparsi questa volta, è quella di uno dei più grandi (o almeno lo era la sua testa), sconsolati, lamentosi e paranoici esploratori che la galassia abbia conosciuto. Di fatto un alieno, a tratti davvero mostruoso e che ha sondato l’ignoto in lungo e in largo, anche se non lo aveva mai chiesto. Marvin l’androide.
Uscito dalla penna di Douglas Adams, Marvin “The Paranoid Android” scalza subito dal podio i vari R2D2, Robby il Robot e perfino Andrew Martin, dimostrando che si può diventare un personaggio molto amato anche se sei simpatico come un’ape nelle mutande, depresso h24 e rassicurante quanto una rivoltella con la sicura difettosa. Progettato e costruito dalla Sirius Cybernetics Corporation’s egli è un prototipo di robot dotato di GPP (Genuine People Personalities). Certo, il fatto che Adams ritenesse che un’intelligenza artificiale, dotata di una personalità da persona vera dovesse dare l’idea di sprofondare nella depressione, ci dice qualcosa sullo stato d’animo cui l’autore era spesso soggetto.
D’altro canto la vastità dell’intelligenza con cui Marvin è stato equipaggiato, non è umana e questo gli ha spalancato le porte su una percezione dell’universo che nessun essere vivente potrà mai sperare (o maledire) di avere. Non dimentichiamoci che in uno dei romanzi Marvin salva inavvertitamente l’equipaggio collegandosi al computer di bordo di un veicolo della polizia, che, quando esposto alla vera natura della visione dell’universo dell’androide, si suicida.
Anche se Zaphod Beeblebrox lo definisce “androide paranoico”, Marvin in realtà non mostra alcun segno di paranoia o di mania alcuna. Anche se, secondo Ford Prefect, egli sia un robot maniacalmente depresso, in realtà il povero Marvin rimane semplicemente cupo per tutto il tempo. Magari il fatto di essere stato abbandonato su Magrathea mentre il resto dell’equipaggio viene teletrasportato nel futuro fino al Ristorante alla Fine dell’Universo (costruito sulle rovine del pianeta stesso), scoprendo che Marvin li aveva aspettati per 576.000.003.579 anni, non ha aiutato.
Questo ci porta ad uno degli aspetti più affascinanti del personaggio. Aspetto che si sviluppa proprio nei momenti di abbandono e di solitudine che il povero androide affronta. Tra versioni tratte dalle serie radiofoniche, televisive e perfino teatrali, il destino di Marvin è spesso quello di fare una fine disastrosa, successivamente cancellata da paradossi, improbabilità programmata e presunte allucinazioni di Zaphod. Allora viene da chiedersi come un cervello grande quanto un pianeta abbia sondato l’ignoto e interpretato l’esistenza in tanti anni di solitudine. Un essere vivente che a causa dei viaggi nel tempo diventa trentasette volte più vecchio dell’universo senza per questo riuscire a farsi sostituire quei diodi in basso a sinistra, che gli hanno procurato un forte dolore per tutta la vita.
In effetti Marvin non arriverà mai a capire l’universo, forse perché troppo preso a lamentarcisi dentro. Quando, nell’ultimo libro, Arthur e Fenchurch lo ritrovano sul pianeta dove è depositato il messaggio finale di Dio alla sua creazione, sarà proprio l’androide a leggere le parole:
CI SCUSIAMO PER L’INCOVENIENTE.
Dopo averle lette Marvin pronuncerà la frase “I think… I feel good about it” e poi morirà. *
Presi dall’aspetto ironico di un robot che passa il suo tempo a disprezzare le porte senzienti di un’astronave per via della loro beata soddisfazione per l’esistenza, non ci accorgiamo che la storia di Marvin è un po’ anche quella dell’uomo moderno. Cupo, insoddisfatto, persuaso del fatto che i suoi talenti siano sprecati e sempre più portato alle lamentele che alla rivoluzione. Fosse stata semplice paranoia sarebbe stato meglio.
Alessandro Felisi – Niente Da Dire
* Nella versione radiofonica le sue parole sono: “Goodbye, Arthur.”
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