Capitolo 1 - APPRENDISTA CERCASI

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Capitolo 1 – APPRENDISTA CERCASI

La Tana del Lupo a quell’ora del mattino era poco affollata. Jack Seward non ne era stupito. Gestiva La Tana da abbastanza tempo da averla vista passare attraverso le “tre fasi della conquista”, come l’avevano definita i posteri, trasformando il locale nell’equivalente di un rifugio per esseri umani.

Ormai quasi dovunque si lavorava di notte e si dormiva di giorno, perché era così che facevano “loro”. Alle dieci di mattina i tavoli erano occupati da avvocati, impiegati e perfino un dirigente d’azienda o due che passavano il tempo chiedendosi se non fosse il caso di farsi convertire e transitare definitivamente dall’altra parte. L’unico a non avere dubbi sulla sacralità del proprio retaggio umano, era il cliente seduto al bancone. I capelli bianchi, radi e spettinati erano la prima di una lunga serie di altre cose rade e spettinate di cui sembrava essere fatto. Il viso, abbronzato al punto da sembrare cuoio, era attraversato da così tante rughe che messe tutte in fila avrebbero potuto fare il giro della città. Due volte.

Delle sue origini olandesi restava forse l’altezza, notevolmente ridotta dalla postura ingobbita. Gli occhi erano azzurri o almeno uno dei due lo era ancora. L’altro era velato da una patina opaca e poco rassicurante. Nonostante il caldo, indossava un cappotto di fustagno che a occhio e croce doveva avere la sua stessa età. Era così irrigidito dal tempo che stava in piedi da solo. Tutto in lui esprimeva l’appartenenza a qualcosa di antico e dimenticato. Lentamente, quasi con cautela, un piatto con due grosse bruschette al pomodoro e basilico fu fatto scivolare sotto il suo naso.
«La tua ordinazione, Abe.»

Il vecchio grugnì una risposta a malapena udibile. Sollevò una delle bruschette portandola alla bocca, fermandosi un momento prima di affondarci gli unici tre denti che gli erano rimasti.
«Fermo lì ragazzo.»
Il proprietario della Tana, si congelò con l’aria di uno che è stato sorpreso con le mani nel sacco. L’altro annusò la bruschetta che teneva in mano guardando con l’occhio buono il povero barista.
«Che fine ha fatto l’aglio, Jack?»
«La consegna di questa settimana è in ritardo.»
L’olandese restituì al piatto la bruschetta e allontanò il tutto con calcolata lentezza.
«Ma davvero?»
«Eddai, Abe. Lo sai quanto è difficile procurarsi dell’aglio di questi tempi.»
«Che diavolo è successo alle luci?» proseguì il vecchio cambiando apparentemente argomento. Jack stava cominciando a sudare freddo.

«Assolutamente niente. E’ tutto come al solito.»
«A me invece sembra che questo posto sia più buio dell’ultima volta.»
«Non dire sciocchezze.» Il barista si pentì subito delle parole che aveva scelto. Alzò i palmi delle mani in segno di resa. «Senti, questo giro lo offre la casa, va bene? Ti prometto che la prossima settimana troverai delle bruschette così cariche di aglio da farti lacrimare gli occhi.»

In tutta risposta l’anziano vuotò il bicchiere, picchiandolo con forza sul bancone.
«Che cosa sta succedendo, Jack?»
Il poveretto non fece in tempo a rispondere che la porta del locale si aprì. Un gruppo di turisti, corredati di camicia hawaiana, macchine fotografiche al collo e orribili berretti variopinti, varcò la soglia al seguito di una guida.
«Questo, signori, è un tipico locale “umano” perfettamente conservato e frequentato da viventi a sangue caldo.»
Tra mormorii di sorpresa e sorrisi soddisfatti, i turisti chiusero gli ombrelli anti UV e si tolsero gli spessi occhiali da sole. Il pallore della pelle era accentuato dal pesante strato di crema, specificatamente studiata per riflettere i raggi del sole e di cui ognuno di loro era coperto da capo a piedi.


«Vampiri!» esclamò il vecchio portando subito la mano alla cintura dove un tempo teneva i paletti di frassino appuntiti.
«Mi avevi giurato che quei mostri non sarebbero mai entrati qui dentro.»
«Ok, senti. Gli affari vanno male d’accordo? Non posso tenere aperto solo agli esseri umani.»
«Stai scherzando?»
«Mi dispiace. Cerca di metterti nei miei panni. Devo tirare avanti in qualche modo.»
«Hai molto di cui dispiacerti, ragazzo. Sei solo un traditore come tutti gli altri.»
«Oh no, ti prego. Ancora con questa storia.»
«Eri il mio apprendista migliore, Jack.» Proseguì l’altro, che ormai era partito in quarta. «Anni di addestramento e per cosa? Per vederti aprire le porte al nemico?»
«Non ero il tuo apprendista migliore. Ero il tuo unico apprendista. C’è una bella differenza. E poi non c’è nessun nemico Abe, non c’è mai stato.»

Il vecchio si alzò di scatto rosso in faccia indicando con la mano tremante il gruppo di turisti appena entrato.
«E quelli come li chiami?»
Il barista cercò di adottare un tono conciliante.
«Ascolta Abe. Quando ci siamo conosciuti, ero solo un ragazzo. Le storie che mi raccontavi sulla conquista silenziosa e dei vampiri malvagi mi aveva acceso. Ci volevo credere. Poi sono cresciuto e ho aperto gli occhi.»
«Niente affatto. Ti hanno condizionato loro!»
«Sai bene che non lo sanno fare. E’ solo una leggenda.»
«Allora come te lo spieghi il fatto che ci hanno conquistato?»
«Non ci hanno conquistato Abe! Ci hanno salvato. Eravamo a un passo dall’estinzione. Se non fosse stato per loro, ci ritroveremmo tra le macerie a lottare per il cibo.»
Abraham batté entrambi i palmi delle mani sul bancone sporgendosi in avanti.
«Allora tieniti i tuoi preziosi salvatori. Questa è l’ultima volta che metto piede qui dentro!»

Sollevò il bicchiere, pronto a vuotarlo in un sorso. Appena si rese conto che lo aveva già fatto, imprecò non proprio sottovoce attirando l’attenzione della guida. «Oh cielo che fortuna inaspettata» esclamò la vampira tutta eccitata. Chiamò a raccolta il gruppo di turisti che accorse subito incuriosita. «Signori siamo di fronte ad una celebrità. Il leggendario Abraham Van Helsing… mi scusi che numero era? Undicesimo? Dodicesimo?»
In altri tempi quello che disse la vampira le avrebbe garantito una decapitazione, un paletto nel cuore e una doccia all’acqua santa. Purtroppo uccidere un vampiro era ormai considerato omicidio a tutti gli effetti e il vecchio Abraham sapeva che non avrebbe combinato niente da una cella. Represse a stento i suoi istinti omicidi facendosi largo tra la piccola folla variopinta che aveva iniziato a fotografarlo senza pietà. «Abraham aspetta!» Chiamò Jack, ma il vecchio cacciatore era già uscito masticando insulti.

La guida andò dal barista con un sorriso che metteva in mostra un quartetto di canini perfettamente simmetrici.
«Era davvero lui, vero? Quello era Abraham il Terribile?»
Jack abbassò lo sguardo sul bancone pulendo delle macchie inesistenti.
«Signora, se lei e il suo gruppo volete restare, dovete ordinare qualcosa.»

Stizzita dalla risposta, la guida tornò ai suoi turisti e in breve il locale fu di nuovo popolato solo da esseri umani. Jack Seward alzò lo sguardo verso la porta, sospirando. Aprì un cassetto sotto la cassa e ne trasse il foglio dell’Agenzia di Conversione del quartiere. Sopra era riportata l’ora del suo appuntamento per l’indomani. Il vecchio Abraham non gliela avrebbe mai perdonata.

Borbottando come il folle individuò che tutti pensavano che fosse, Abraham Van Helsing XXII sentiva come mai prima di allora il peso dei suoi anni. La sensazione funesta che il tempo fosse giunto al termine lo schiacciava. Mentre il caldo sole di una primavera perfetta ricordava a tutti che le mezze stagioni erano tornate, grazie all’impegno ecologico dei vampiri, un vecchio cacciatore senza più uno scopo, varcava la soglia di casa con una nuova risoluzione in testa. L’ultima.

Si sarebbe seduto sulla sua poltrona fino a che non fosse sopraggiunta la fine. Che il mondo facesse di sé quello che voleva. Lui ci aveva provato. Entrò in casa, prese una bottiglia di whisky da quattro soldi e si sedette senza nemmeno togliersi il cappotto. In capo a una mezz’ora l’alcool ebbe la meglio sul vecchio che si addormentò. Sognò di una vita spesa in isolamento fatta tutta di scelte sbagliate, affetti smarriti e battaglie troppo grandi per un solo uomo. I volti degli altri cacciatori si perdevano nel tempo, facendolo sentire piccolo e smarrito. Sentiva la sua voce che li chiamava per nome, attingendo ad angoli della memoria che credeva perduti. Li ricordava tutti, dal primo all’ultimo così come ricordava che, uno dopo l’altro, si erano arresi. Le sue urla divennero più alte somigliando sempre di più al suono acuto di una… sirena. La sirena dell’allarme stava suonando.

Abraham si alzò confuso e intorpidito. Doveva aver attivato le trappole anti-vampiro senza rendersene conto e qualcuno le aveva fatte scattare. Prese un paletto appuntito tra quelli appesi alla parete e spalancò la porta pronto a compiere un ultimo gesto da cacciatore. Si fermò con il picchetto sollevato sopra la testa. Nel portico, appena davanti alla porta di casa, un giovane penzolava sottosopra appeso a una corda.
«Oh grazie al cielo c’è qualcuno. Signore sarebbe così gentile da farmi scendere? Contrariamente a quello che si pensa, non ci piace restare appesi a testa in giù.»

Un sorriso incerto mise in mostra i canini del giovane vampiro. Prima che Abraham potesse dire qualcosa, l’altro trasse di tasca un foglio.
«Mi chiamo Sanctius. Sanctius Polidori. Sono qui per l’annuncio.»
«Che diavolo stai dicendo ragazzo?»
«Il suo annuncio. Quello per il nuovo apprendista. Il lavoro è ancora disponibile, vero?»

Testo: Alessandro FELISI
Copertina: Lorenzo DUINA
Disegni: Danilo DELLA GIACOMO
Logo: Elia FELISI

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