Call of the Sea, to Lovecraft with love

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Call of the Sea, to Lovecraft with love

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Parliamoci chiaro: è difficile cogliere l’eredità letteraria di H.P. Lovecraft senza risultare banali, senza cadere nel citazionismo a tutti i costi ed effettivamente rendendo omaggio alle opere dello scrittore americano, nonché al pantheon di divinità antiche da lui creato. Nell’industria videoludica esistono, infatti, diversi titoli con più o meno evidenti “influenze lovecraftiane”, Bloodborne di From Software ne è un esempio lampante. I riferimenti sono molteplici, dalle avventure grafiche direttamente dedicate sino a titoli sparatutto che inseriscono elementi di richiamo nella loro narrativa. In questa galassia di titoli, Call of the Sea riesce a distinguersi per il suo tratto, risultando un vero e proprio atto d’amore.

Il videogioco prodotto dalla software house spagnola Out of the Blue, riesce a rendere omaggio allo scrittore dell’orrore, riprendendo a piene mani alcuni dei suoi racconti più famosi. In quanto atto di amore, però, non si limita ad elogiare i racconti, ma critica l’autore statunitense e il tessuto sociale razzista degli Stati Uniti degli anni ’30 senza messe misure. Logicamente non si tratta di un lavoro semplice e il prodotto finale del team di Out of the blue, nonostante alcuni spigoli e imperfezioni, è un’esperienza di gioco puzzle in prima persona completa e degnamente realizzata: tra mistero, tensione ed enigmi da risolvere. Siamo Norah Everhart, giovane esploratrice affetta da una misteriosa malattia e alla volta di una sperduta isola nel Pacifico alla ricerca di nostro marito Harry, archeologo partito in spedizione sull’isola alla ricerca di una cura per la nostra malattia.

Una volta cominciata l’avventura ho immediatamente percepito di avere tra le mani una creatura dalle mille sorprese, riportandomi alla memoria molti dettagli presi direttamente da una delle storie più famose della bibliografia lovecraftiana: Dagon. Il racconto comincia proprio con un naufragio su un’isola e la scoperta di strane melme color pece, monoliti con iscrizioni geroglifiche e pesci umanoidi, con un richiamo ad un’iconografia cinematografia resa famosa dal film Il mostro della laguna nera e riportata ultimamente al cinema da Guillermo del Toro sia con Abe in Hellboy che con La forma dell’acqua. I due elementi pocanzi elencati sono centrali nella narrazione di Call of the Sea, esattamente come l’elemento dello spazio e della costellazione. Per non parlare della menzione alla musica del violinista Eric Zann e la presenza di altri elementi familiari per gli appassionati degli Strani Eoni.

Call of the sea

Sfortunatamente, però, il tono dell’avventura fallisce nel trasmettere una qualsivoglia sensazione di terrore, ma mantiene quel retrogusto di stranezza e di timore dell’ignoto che sono il carburante di tutta la storia di Norah. Call of the Sea esattamente come altri titoli puzzle game simil The Witness, sviluppato da Thekla Inc., propone degli enigmi che sfruttano appieno l’ambiente di gioco, costringendo il giocatore a prestare notevole attenzione alla composizione del livello e a ricontrollare spesso gli appunti nel giornale della protagonista. Alcuni di questi indovinelli risultano eccessivamente complessi da risolvere, almeno questa è stata la mia percezione della sfida da profano del genere e da persona poco sagace in questa tipologia di enigmi. Insomma non sono spigliato con la Settimana Enigmistica e con i Sudoku per capirci, mi diletto unicamente a riempire le caselle per colmare l’horror vacui. Nelle storie di Lovecraft, chiunque provi a decifrare una qualsiasi iscrizione su una qualsivoglia struttura non euclidea è normale che perda la propria sanità mentale, quasi un cliché. Ma rompere la quarta parete per far diventare pazzo anche il giocatore può essere interpretato sia come un colpo di genio meta ludico oppure, semplicemente, la curva di difficoltà non è stata bilanciata con l’adeguata attenzione: delle due l’una.

Gli ambienti di gioco volano verso la perfezione, ma a trattenerli con violenza al suolo sono alcune asperità disegnate dagli stessi sviluppatori. Ebbene è frequente sbattere il naso contro una parete invisibile, spezzando di netto il coinvolgimento tanto agognato. Questi piccoli difetti sono ovviamente da tenere in conto, ma non possono completamente cancellare l’ottimo lavoro svolto dal team di sviluppo. Call of the Sea travolge di romanticismo e a riempie il cuore di sano spirito di avventura, una traversata senza dubbio perigliosa, ma che alla fine accompagna la protagonista alla ricerca di sé, della sua identità e del suo destino.

Proprio negli ultimi attimi di gioco, il giocatore rimarrà incastrato in un bivio tra desiderio e accettazione. Due strade che, con declinazioni differenti, a tutti capita di incontrare. Ed è proprio in quell’attimo di indecisione che ho compreso come questo titolo, al netto dei suoi difetti, affronti in modo viscerale la relazione d’amore che lega Norah a suo marito Harry: è impossibile non empatizzare con la protagonista. Parte di questa relazione è mediata da una canzone, un leit motiv composto da Eduardo de la Iglesia e cantata dai due voice actor del gioco. My Dear Old Pal è un riarrangiamento della canzone della prima guerra mondiale Dear Old Pal of Mine, cantata da John Cormack nel 1918. Un dettaglio che, per quanto laterale, conferisce un’immensa profondità a questa relazione

Insomma, per il team di Out of the Blue, Lovecraft è solo un dear old pal (caro vecchio amico), e quest’opera è l’incarnazione di questo amore, che, come per Norah ad Harry, è intenso e viscerale.

di Damiano D’Agostino

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