L’attesa del piacere

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L’attesa del piacere

Sto sentendo un sacco di voci di corridoio arrabbiate di brutto, nell’ultimo periodo. Diciamo da tre mesi a questa parte, con picchi che negli ultimi trenta giorni rasentano la furia omicida.
Beh, visto il periodo storico, non è che sia difficile essere arrabbiati. Per tanti motivi. Ma tra tutti, il motivo di rabbia delle voci di corridoio che ho sentito mi ha dato un sacco da pensare.
È cominciato al cinema.
O meglio, fuori dal cinema.
Un gran numero di film attesissimi è stato rimandato e poi rimandato ancora e ancora, in attesa di capire che direzione avesse preso questo maledetto virus che ormai da più di un anno sta flagellando il mondo intero.
E siamo passati dal “Mannaggia! Vabbe’, è comprensibile” al “Ok, lo capisco, ma che pizza!” a “Maledetti, vogliono solo far salire l’hype col pretesto del virus! Rilasciatelo in streaming e basta!”
Questo ha riguardato molte pellicole, da “Bkack Widow” a “Peter Rabbit 2” a “Dune”, fino a “Ghostbusters: Afterlife”.


Ho sentito le campane più disparate in argomento, e ho visto serpeggiare anche le prime teorie del complotto.
Eh già, perché se una cosa non va come vogliamo, non è perché “Ehi, you can’t always get what you want”.
No, dev’esserci sicuramente un disegno fraudolento dietro, ordito da una qualche sinistra e avida eminenza grigia il cui unico scopo nella vita è quello di lucrare sulla nostra infelicità.
E poi più di recente, mentre la serie “Wandavision” imperversa mietendo consensi e ammirazione e affermandosi come una delle sorprese più stupefacenti da un bel po’ di tempo a questa parte, una delle critiche che più frequentemente (e più veementemente) le viene mossa dai detrattori è che trasmettere un episodio a settimana anziché renderla subito tutta disponibile al bingewatching sarebbe una presa in giro per gli spettatori, un’assurdità anacronistica che ne rende più difficile la fruizione, ne spezza il ritmo, ne massacra la struttura.
Ora… molti di questi detrattori sono gli stessi che proponevano di dividere “The Irishman” in parti e guardarlo come fosse una serie perché troppo lungo, ma non è di questo che voglio parlare.

Voglio parlare del tema di questo mese: la cioccolata.
Così. De botto. Senza senso (Cit.)

Ve le ricordate quelle passeggiate, da piccoli, con i nostri genitori o con i nonni, o magari con qualche zio? Li si accompagnava a sbrigare qualche commissione, e poi, se eravamo bravi, al ritorno ci si fermava a prendere una bella cioccolata.

Che meraviglia!

Certo… quell’ “al ritorno” sembrava un tempo infinito, immoralmente lungo, una tortura, che se già era noioso dover accompagnare zia Peppina alle poste, accompagnarla alle poste contando i secondi che ci separavano dalla cioccolata era una tortura da inquisizione spagnola.

Eppure…

Eppure quei minuti (secondi? Ore? Difficile dirlo) erano pervasi dal brivido dell’attesa e dal rischio di perdere la ricompensa: “se fai il bravo” era una conditio sine qua non molto precisa.

Magari la cioccolata neanche ci andava più di tanto, ma presentata in quel contesto, come la ricompensa alla fine di una quest fatta di pazienza e attenzione, diventava il Sacro Graal, e noi ci sentivamo tutti un po’ Parsifal, pur non avendo probabilmente idea né di cosa fosse il primo, né di chi fosse il secondo.

Era qualcosa di non troppo diverso dall’andare a letto la sera della Viglia di Natale sapendo che al risveglio (ma solo al risveglio) avremmo trovato i regali sotto l’albero.

L’attesa. Eravamo piccoli e la vivevamo come una tortura.

Però l’accettavamo e sì, ce la godevamo.

E allora mi domando: che cosa è cambiato? Perché mai da piccoli sopportavamo stoicamente il tempo che ci separava dal nostro Sacro Graal, e adesso che siamo adulti e (si suppone) ragionevoli, sbraitiamo ferocemente alla tastiera tuonando in caps lock contro gli oscuri poteri che hanno rimandato di un altro mese il nostro film preferito o che ci costringono ad aspettare ben sette giorni (che neanche Samara di “The Ring”) per vedere il nuovo episodio della serie del momento?

«È mio diritto di fan vederlo subito!»

Questa è la risposta che, variamente declinata e argomentata, si leva dai seggioloni dei più accaniti commentatori del web.

Sì, i “seggioloni” li ho rubati alla recensione-sfogo del nostro rinocerontico direttore sul quarto episodio di “WandaVision” (la trovate QUI: https://www.instagram.com/p/CKtsrjSKBt3/?igshid=o1u65tw2z55o )

È mio diritto di fan”, si diceva.

Ho una brutta, bruttissima notizia, amici. In termini strettamente giuridici (se si parla di “diritto”, questo è l’ambito), l’unico diritto che nessuno, ahimè, vi può negare è quello di lamentarvi.

E basta.

Parliamo di prodotti che, al di là dell’affetto e della passione (e spesso anche dei soldi) che noi fan ci riversiamo, non appartengono a noi. L’essermi dissanguato acquistando le repliche fedeli delle armi di tutti gli Avengers, non mi rende proprietario dei Marvel Studios, né basta a conferirmi un posto al tavolo del consiglio d’amministrazione, o mi dà voce in capitolo sulla sceneggiatura.

A quest’ultimo punto, ahimè, non mancano le eccezioni, ma ogni volta che una major prova a dare ascolto ai fan nella gestione narrativa o commerciale di un suo prodotto, il risultato è immancabilmente catastrofico.

Il nostro diritto reale, l’unico del quale dovremmo imparare a riappropriarci, è quello di goderci le cose che ci vengono proposte.

Se ci piacciono.

Se non ci piacciono, ovviamente no.

Godercele. E goderci anche l’attesa come facevamo da piccoli, quando aspettavamo che zia Peppina ci comprasse la cioccolata promessa.

O quando, da un po’ meno piccoli, aspettavamo spasmodicamente che uscisse la nuova puntata di “Lost”. Ve lo ricordate?

Perché ‘sto cavolo di bingewatching ci ha resi soltanto dei viziati fagocitatori di storie, ha alimentato il nostro bisogno di “tutto e subito” che tanto piace alla società consumistica che ci siamo costruiti attorno.
E se l’attesa del piacere fosse essa stessa il piacere?”, recitava suadente uno spot pubblicitario rubacchiando le parole aGotthold Ephraim Lessing.

Oggi probabilmente al drammaturgo tedesco risponderebbe un blogger imbufalito con la bocca sporca di cioccolato, urlandogli «NO!» e ingozzandosi di un altro mezzo chilo di praline senza neanche sentirne il sapore.

Ma noi veramente vogliamo essere quel blogger imbufalito?

 

Edoardo Stoppacciaro

 

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