Tre domande a Florence, infermiera londinese in un reparto Covid
In molti dicono: “Siamo già abbastanza occupati con i nostri problemi” e, con i tempi che corrono, posso anche capirli. Tuttavia il Covid è un problema mondiale e dovremmo impegnarci esattamente con questo pensiero in testa. Purtroppo non può essere così. Ogni Nazione sta agendo come meglio crede, secondo il proprio statuto e le proprie leggi. Teniamo sott’occhio le notizie che ci arrivano dal resto d’Europa, ma con particolare attenzione, ovviamente, seguiamo le nostre. Noi abbiamo voluto intervistare un’infermiera che lavora vicino Londra, per capire come sta andando la situazione in Inghilterra secondo il suo punto di vista.
Quello che dirà sarà sotto forma anonima. Tuttavia ricordiamo a tutti che non si tratta di informazioni che vanno applicate su larga scala e su tutta l’Inghilterra, ma quello che leggerete sarà il punto di vista di un’infermiera, in un solo punto della Nazione che, al momento, sembra avere gravi problemi. Ma lasciamo parlare lei. L’infermiera, anche se ha voluto rimanere anonima, vi diciamo che viene dall’Italia, ha 25 anni e lavora in un grande ospedale appena fuori Londra. Per semplicità la chiameremo Florence.
La prima domanda è vaga, lo so, però è la prima che viene in mente: come sta andando lì? Cosa succede?
Florence: Posso dirti quello che sta succedendo nel nostro ospedale, come spiegato prima. Nella struttura al momento abbiamo quattro reparti di terapia intensiva che sono dedicati a varie aree della medicina: una è quella generale, una cardiaca, una ortopedica-traumatologica e una è quella neonatale e pediatrica. In questo momento tutte queste terapie intensive, esclusa quella neonatale e pediatrica, sono dedicate ai malati di Covid. Inoltre tantissimi reparti tra cui quelli di cardiologia, di chirurgia e alcuni reparti di medicina sono stati adibiti completamente a reparti Covid. Questo crea tantissimi problemi relativi alla gestione di tutti gli altri malati che non hanno il covid ma hanno altre malattie di altra natura che vengono costantemente o rimandati a casa in maniera precoce, e quindi poi rientrano in ospedale perché le cure non erano sufficienti, oppure aspettano per tantissime ore in reparti non adibiti come il pronto soccorso, la medicina d’urgenza. Aree nelle quali dovrebbero rimanere per breve durata e invece rimangono per giorni. Questo sta creando tantissima difficoltà nella gestione delle loro terapie e delle loro condizioni fisiche patologiche. Non soltanto per una questione di spazio, ma per una questione di stress dei pazienti e anche del personale. Perché tantissime persone sono state reimpiegate in aree che non sono le loro. Per esempio vi sono infermiere pediatriche messe in terapia intensiva per dare una mano al personale che si occupa dei malati Covid, sono persone che hanno competenze completamente diverse da quelle richieste. Non hanno idea di quello che devono o non devono fare
“Non avere idee” è eccessivo, perché ovviamente sono infermieri e hanno un’idea di cosa succede. Ma qui l’infermieristica e la professione medica funzionano in modo un po’ diverso. C’è molta settorializzazione e tante specializzazioni disponibili per la professione. Il livello di stress dello staff è, quindi, elevato e pesante da gestire. Un altro fattore riguarda, come accade anche negli altri paesi, i malati Covid sono piuttosto giovani. Questi stanno parecchio male e hanno bisogno di molte riserve di ossigeno e di cure specifiche, fino ad arrivare all’intubazione. Queste terapie devono essere praticate da personale specializzato, vedendo di conseguenza lo stress salire soprattutto per lo staff che faceva tutt’altro fino al giorno prima. In più gli esiti di questi pazienti sono spesso negativi, molti tornano a casa ma altri no. Le persone che vengono a mancare sono completamente lucide fino all’ultimo momento. Tenere la mano a giovani di 40 anni mentre dicono addio alle loro famiglie con una videochiamata su Whatsapp è difficile da sostenere emotivamente. Senza poi parlare del dolore e della frustrazione delle famiglie, perché nessuno si aspettava una situazione di questo genere. Quello che sta succedendo qui è veramente pesante sotto tutti questi punti di vista. In questo momento a Londra siamo in lockdown, ma il lockdown londinese è diverso da quello inglese, non siamo nemmeno obbligati a portare le mascherine per strada. Nessuno viene controllato sul perché sia in giro o altro, dovrebbe essere il lockdown totale con tutto chiuso tranne supermercati e farmacie, invece la gente è in giro e senza mascherina. Quindi oltre allo stress vissuto a lavoro tutti i giorni si aggiunge la frustrazione per la gestione nazionale dell’emergenza.
La seconda è anche più importante, ed è qualcosa che non si chiede spesso a quelli che fanno il tuo lavoro: come stai?
Florence: Io come sto? Sto abbastanza bene anche se sta diventando un po’ pesante, ne parlavo con i miei colleghi. Le nostre giornate sono tutte uguali: si va a lavoro, il giorno off è un giorno in cui ci si riposa, magari si fa la spesa, si cucina e si aspetta di andare a lavorare il giorno dopo. Quello che manca maggiormente è una prospettiva futura: sono sempre stata abituata in questi anni a Londra ad avere il weekend in Italia, la vacanza, il weekend fuori, andare al parco e al pub con gli amici, divertirci nelle serate con i colleghi, prendere un aereo e andare in vacanza in Indonesia. Tutto questo è completamente fermo e non posso tornare in Italia a trovare la mia famiglia, ma nemmeno uscire con una collega per una birra dopo il turno di lavoro. A volte è tutto quello che ti serve a far fronte a brutti turni di lavoro che ultimamente stanno diventando sempre più traumatici. Parlo almeno per me che lavoro in medicina d’urgenza, sta diventando veramente insostenibile la mole di lavoro. Quindi è un po’ questo che manca: sapere che c’è qualcosa oltre al lavoro, al momento c’è solo stare a casa.
Non metto in dubbio che la situazione per chiunque lavori da casa sia difficile, qualunque sia il tipo di lavoro. Ma sentire tanti amici lamentarsi della noia e dello stare a casa mi fa un po’ rodere l’anima. Qui in ospedale viviamo delle situazioni crude e i giorni di riposo li passiamo a pensare a tutto quello che è successo, piangendo e riflettendo sulle situazioni pesanti che abbiamo vissuto. Aumentano anche le crisi d’ansia, gli attacchi di panico e lo stress. Non è qualcosa che ci sta facendo bene e non credo di parlare solo per me stessa, ma per molti infermieri, OSS e medici che sono qui. Inoltre il fatto di essere lontana da casa non aiuta, prima potevo tranquillamente prendere un aereo e farmi tre o quattro giorni a casa, adesso sta diventando infattibile anche soltanto pensare che questo accadrà in un futuro prossimo, ed è triste. Siamo tutti un pochettino tristi.
La nostra ultima domanda di solito è: cosa “ti lascia senza niente da dire?”. Ci sembra appropriata vista la situazione, quindi dicci: cosa ti lascia senza niente da dire ultimamente?
Florence: Qualcosa che mi lascia senza niente da dire in realtà è una bella notizia, perché mi piace sempre parlare di cose positive se posso pensarci, anche se io sono una persona abbastanza negativa normalmente. Mi lascia senza niente da dire che ci siano paesi in questo momento, non l’Inghilterra perché siamo in una situazione un po’ nera, che stanno vivendo una vita normale come la Nuova Zelanda e l’Australia. Sono gelosissima! Mi spiego, sono felicissima per le persone che vivono in questi paesi: sono riusciti a far fronte ad un’emergenza in maniera più facile sia per la collocazione geografica che per scelte del governo fatte diversamente e tempestivamente. Mi sembra però quasi incredibile vedere foto e video di amici che in questo momento sono in Nuova Zelanda mentre fanno un trekking incredibile a sud dell’isola e che stanno vivendo in tutto e per tutto una vita normale.
Guardare le storie dei loro viaggi mi permette di sognare e sperare che tutto ciò accada presto anche per noi, per tutti quanti noi, a prescindere dal paese in cui viviamo. Sperare che tutti si vaccinino e che piano piano, in un anno o due, si possa tornare ad avere una vita normale come quella che alcune persone riescono farmi sognare, anche in questo momento un po’ difficile. Mi sembra assurdo però vedere persone che vanno in giro senza mascherina, che vivono una vita come la vivevamo noi un anno e mezzo fa, ma in un contesto di emergenza ancora in corso. Tutto ciò mi lascia basita, ma con della speranza dentro: un giorno tutti potremo tornare a fare le cose che ci piacciono e che facevamo prima.
Noi ringraziamo Florence per il lavoro che svolge tutti giorni e le auguriamo il meglio, sperando in un futuro migliore.
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