Gioco di ruolo e avventura grafica
Nel passato videoludico, esisteva piuttosto florido il genere dell’Avventura Grafica. Negli anni ’90, si poteva addirittura sostenere che fosse quello il tipo di videogiochi fondamentale rispetto al medium: LucasArts e Sierra, con Roberta Williams in testa, sfornavano capolavori a colpi di Monkey Island e King’s Quest, ma anche negli anni successivi si vide l’uscita di altri titoli eccellenti, quali Grim Fandango, BrokenSword, Syberia. Infine, Fahrenheit, nel 2005, fu con ogni probabilità il canto del cigno del genere, che già da tempo stava andando perdendosi.
Le avventure grafiche costituivano un genere videoludico di pura cerebralità: un’ottima trama, nella quale spesso veniva posta di mezzo qualche questione etico/morale si connubiava con caratteristiche di gameplay basate tutte sulla risoluzione di enigmi, nonché con dialoghi a scelta multipla. L’assenza di vera e propria azione, e dei combattimenti (seppur con qualche eccezione) costituì in primo luogo il motivo per cui il genere dell’avventura grafica declinò.
Il pubblico videoludico, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000, stava cambiando rapidamente. Il medium si stava massificando, complice anche la sempre maggiore diffusione delle console. Da un gruppo di pseudo-ingegneri ed appassionati del mezzo informatico si era passati ad un pubblico generico, formato da chiunque, e con esigenze di accessibilità, di immersione e di divertimento immediato sicuramente maggiori rispetto ai primi. Doom, Quake, Half-Life, e volendo Halo, avevano via via sdoganato un modo di giocare completamente diverso rispetto a quello in auge negli anni ’90: il genere preferito era diventato indiscutibilmente lo sparatutto.
Tuttavia, anche lo sparatutto non ha potuto, nel corso del tempo, mantenersi uguale a quello che era in passato. Quell’esigenza fondamentale di immersione, da parte del nuovo pubblico, non poteva essere soddisfatta pienamente, laddove il protagonista era muto, i dialoghi inesistenti, la trama risibile. Negli anni ’90, John Carmack, uno dei geniali creatori di Doom, nonché probabilmente il singolo programmatore a livello videoludico più influente di tutti i tempi, aveva detto:
La trama nei giochi è come la trama nei porno: ci si aspetta che ci sia, ma non è importante.
E con questo mantra, aveva effettivamente raggiunto un successo inenarrabile. Ma, come si diceva, i tempi cambiano. Man mano, si è palesata l’esigenza di unire alle caratteristiche fondamentali dello sparatutto anche qualche meccanica di progressione e immersività, così da dare al giocatore l’idea di diventare sempre più forte mano a mano che il gioco prosegue e l’illusione di poter davvero influenzare il mondo di gioco. Di fatto, si unirono alle caratteristiche veloci e adrenaliniche degli sparatutto anche sistemi di gestione del personaggio, livelli, abilità, e si prestò maggiore attenzione alla trama, garantendo scelte multiple, dialoghi ragionati, oggetti significativi da scovare nell’esplorazione del mondo di gioco. Nacquero così, nei primi anni 2000, gli ibridi FPS-GDR, come Deus Ex, un capolavoro senza tempo e senz’altro uno dei migliori videogiochi di sempre.
Oggi, a distanza di molti anni, sembra proprio il gioco di ruolo il genere prediletto dal grande pubblico. È del resto impossibile rinvenire un videogioco che oggi manchi di un senso di progressione e di un barlume di immersività. Perfino l’ultimo Doom Eternal, attualmente il rappresentante massimo degli sparatutto, ha tutta una sua parte dedicata al potenziamento del personaggio e delle armi, ed ha perfino una trama vagamente curata: un qualcosa che ai tempi di Carmack sarebbe stato considerato solo uno spreco di risorse.
Le caratteristiche fondamentali dei giochi di ruolo, in questo senso, sono maledettamente simili a quelle delle avventure grafiche di cui abbiamo parlato all’inizio: in entrambi i generi esiste un mondo virtuale ben delineato, una trama il più possibile interessante, ed una serie di scelte da compiere. La differenza fondamentale sta nell’approccio alle difficoltà dei due generi. Laddove le avventure grafiche ponevano il giocatore di fronte ad enigmi via via sempre più complessi, i giochi di ruolo fanno dei combattimenti sempre più difficili il loro modo di impegnare il giocatore. Ma se nelle avventure grafiche è lo stesso giocatore a diventare più forte e più capace per risolvere gli enigmi più difficili alla fine del gioco, nei giochi di ruolo è il personaggio del giocatore che diventa più forte: esso livella, acquisisce oggetti e potenziamenti.
Quello del gioco di ruolo è dunque un approccio matematico: basato sui numeri. Sono i numeri che determinano la forza di un combattente e la difficoltà di un encounter, ed è attraverso l’onnipresenza dei numeri che si compie la principale differenza tra il genere dell’avventura grafica e quello del gioco di ruolo. Del resto, chiunque avrà ben presente la quantità di numeri che vivono in una scheda del personaggio di Dungeons and Dragons, e non è che ciò cambi soltanto perché si passa da carta e penna ad un medium digitale come il videogioco.
Insomma, le avventure grafiche sono di fatto scomparse perché il loro sistema di progressione non ha soddisfatto il giocatore così come quello dei giochi di ruolo. L’ascesa del personaggio, con i numeri delle statistiche che salgono e quelli dei danni che arrivano a cifre altissime ha dimostrato di essere un metodo di progressione maggiormente di successo rispetto a quello utilizzato dalle avventure grafiche, che facevano semplicemente leva sull’apprendimento personale del giocatore. Ma questo sistema è ineffabile: nella vita reale non si può aprire la propria schermata del personaggio e vedere, di volta in volta, quanta esperienza abbiamo guadagnato.
Di Giacomo Conti, MMO.it
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