A Way Out of 2020

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A Way Out of 2020

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Il 2020 è un anno dal quale era necessario fuggire al più presto. Un anno nefasto globalmente che, però, ha avuto i suoi risvolti positivi. Infatti con Niente da Dire abbiamo lavorato a tantissimi progetti e dato il via ad altrettanti progetti futuri. La rubrica che state consultando ne è un esempio: benvenuti su Co-Op Cocktail. Ogni 15 del mese Guglielmo e Damians vi parleranno di un videogioco cooperativo nuovo o vecchio che sia, risaltando i punti importanti e sviluppati egregiamente oppure le lacune che fanno precipitare il prodotto nel dimenticatoio. Il tutto con ben due punti di vista e un lavoro di discussione approfondito. In futuro ci saranno tanti ospiti interessanti con i quali portare questi giochi in live sul canale Twitch e discutere. Bene? Tutto chiaro? Allora prendete il vostro cocktail e mettetevi comodi. Oggi si parla di A Way Out, titolo del 2018 sviluppato da Hazelight Studios e diretto da Josef Fares, già direttore di Brothers: A tale of Two Sons e pubblicato da Electronic Arts per PlayStation 4, Xbox One e PC tramite Steam e Origin.

Damians: Non lo faccio, mi rifiuto
Guglielmo: Dai su che altrimenti non si va avanti nel gioco…
Damians: Non voglio guardare [click]
Guglielmo: E’ finita
Damians: non volevo bro
Guglielmo: tranquillo bro

Storia

A Way Out racconta dell’evasione di Leo Caruso, ladro di notte e testa calda di giorno e Vincent Moretti, un banchiere incastrato per l’omicidio del fratello. Il gioco si presenta, ed è stato pubblicizzato, con un particolare focus sull’evasione, tuttavia la trama va oltre, diventando presto un crime thriller che prenderà gran parte del gameplay. Eh beh, direte voi, i protagonisti sono criminali. Giusto, però in A Way Out l’evasione vera e propria accade piuttosto velocemente, discostandosi dai prodotti a cui è ispirato (vedi Le Ali della Libertà e Fuga da Alcatraz), in cui la maggior parte del racconto riguarda la pianificazione e la vita in prigione, arrivando alla fuga soltanto nel finale. Leo e Vincent riescono nel loro intento nel primo terzo del gioco, mentre il resto si concentra sul loro vero obiettivo, risolvere dei conti in sospeso che entrambi hanno con un boss della criminalità organizzata, tale Harvey.

A conti fatti la fuga dalla prigione è soltanto l’incipit del gioco, mentre il vero fulcro sta nella scoperta dei vari retroscena che hanno messo i personaggi nella situazione in cui si trovano. La trama, vista da un punto di vista unicamente pratico, non offre grandi rivoluzioni, infatti tratta temi e personaggi già collaudati da moltissimi media: il ladro spaccone con una famiglia, l’uomo tormentato dalla morte del fratello, il gangster arrogante e così via. Un elemento che poteva essere reso più interessante riguarda i dialoghi con i PNG, per la maggior parte utili soltanto a scoprire una scenetta divertente, un easter egg o a sbloccare un achievement, senza nessun collegamento con la trama. Sarebbe stato interessante vedere una situazione risolvibile anche attraverso il dialogo e non solo eseguendo un certo ordine di azioni. Un’occasione sprecata. Ma nonostante gli elementi piuttosto basilari, A Way Out prende subito una piega molto coinvolgente e tiene alta l’attenzione dei giocatori per tutta la storia, fino al colpo di scena finale, che ribalta le carte in tavola.

Sembra banale, ma l’impostazione a schermo condiviso e co-op forzata è proprio il punto di forza del gioco. I giocatori vedono cosa fa il loro compagno, che ostacoli supera, chi affronta. Ognuno è consapevole degli sforzi del proprio amico, che non è un modello 3D programmato, ma una persona che evidentemente conosci. Così ogni sforzo non è individuale, si fa insieme, creando una sinergia che ti fa interessare non solo alla tua storia, ma ti fa vivere anche quella della persona che ti sta di fianco.

Meccaniche

Le meccaniche di gioco di A Way Out sono state sviluppate in modo da rendere i personaggi influenti l’uno sull’altro. Molte sezioni infatti necessitano di una coordinazione incredibile per evitare di fallire, accrescendo nel corso della partita la sinergia tra i giocatori e la loro complicità all’interno di un’avventura realmente appassionante. E’ infatti impossibile completare la storia senza coordinazione e continua comunicazione con il proprio compagno di gioco. Nello specifico queste situazioni si manifestano in una serie di quick time event, nei quali è necessario premere il giusto pulsante nel momento opportuno. Oppure la scelta, nel corso della partita, dei diversi approcci situazionali, alternando i metodi pacati e razionali di Vincent ai metodi aggressivi e rocamboleschi di Leo. Queste scelte non avranno influenza sui due finali del gioco. Tutto ciò limita anche la rigiocabilità del prodotto che, una volta concluso, può essere anche tranquillamente messo sullo scaffale e ricordato per l’esperienza di gioco di circa sei ore. Inoltre i livelli sono costruiti in modo da rendere le azioni di Vincent e Leo perfettamente complementari, necessitando di azioni specifiche che uno dei due deve eseguire mentre l’altro è impossibilitato a proseguire in una stanza. Si crea nell’esperienza quindi una sequenza di azioni che, come un puzzle, devono essere coordinate e ben eseguite per poter superare con tranquillità un livello di gioco.

Ciò che forse dispiace è che tutto ciò poteva essere ancora più approfondito attraverso delle influenze narrative sul gameplay. Sto parlando, nello specifico, di una particolare caratteristica di Leo: le vertigini. In diverse sequenze di gioco i personaggi si ritrovano a camminare sopra passerelle di ferro affacciate su strapiombi o a saltare da ponti e su cascate. Il tutto, a livello di gameplay, però non sembra avere influenza. Nessuna sequenza di tasti più complessa o shacking della camera per rendere confusionale la scena: ciò è costruito solo nei dialoghi e nella narrazione. Una delle parti più difficoltose rimane forse il gunplay, facile da maneggiare con mouse e tastiera, ma molto più complesso da padroneggiare nel caso si utilizzi un controller. Il lavoro svolto da Hazelight studios, però, è più concentrato sul raccontare la storia e sul concatenare le meccaniche principali più che su quelle secondarie, lasciate un po’ a sé stesse e che non intaccano per nulla l’esperienza di gioco e il coinvolgimento nel racconto di Vincent e Leo.

Conclusione

Insomma A Way Out ha una storia non troppo originale, ma che coinvolge grazie alla sua particolare formula co-op. Nel complesso è un gioco decisamente godibile, ma se avesse avuto qualche idea di gameplay un po’ più coraggiosa sarebbe diventato una pregevole perla. Beh che dire, siamo fuggiti dal 2020 e il cocktail è finito. Però per dimenticare l’anno passato ne serviranno molti di più, pronti per un altro giro? Scusi, barista!

di Guglielmo Sudati e Damiano D’Agostino

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