Hades, un Roguelite per fuggire dall’Oltretomba
Ormai da quarant’anni continua un dibattito interessante attorno ai concetti di Roguelike e Roguelite. Nell’ultimo periodo il fenomeno si è acuito grazie all’uscita di Hades, titolo RPG isometrico prodotto da Supergiant Games. Nel linguaggio tecnico si utilizzano questi due termini per indicare due tipologie di giochi simili, ma con differenze sostanziali nel loro core gameplay. Ovviamente il dibattito non si può esaurire in quest’articolo; l’obiettivo è fornire qualche spunto nell’ormai eterna lotta di un genere videoludico con sé stesso. E’ quindi necessario fare una lunga premessa su questo genere di videogiochi, prima di parlare dell’ultima fatica dello studio di San Francisco.
Entrambi i generi prendono ispirazione dal titolo Rogue, videogioco del 1980 uscito per il sistema operativo Unix e sviluppato da Glenn Wichman and Michael Toy. Rogue è un gioco dalla struttura dungeon crawler che ha immediatamente appassionato la comunità di amatori in giro per il mondo. Il giocatore si muove all’interno di un dungeon elaborato proceduralmente, combattendo mostri e raccogliendo oggetti e pozioni: il tutto però con la meccanica della morte permanente: una volta esaurita la vita è necessario ricominciare da capo senza mantenere i progressi fatti in precedenza e con il dungeon che cambia struttura.
Le pozioni e gli oggetti raccolti non hanno sempre lo stesso effetto: una pozione che prima poteva curare in nostri punti vita, nella partita seguente potrebbe avvelenare l’avatar e portarlo alla morte. Insomma è uno stile di gioco estremamente punitivo e difficile da padroneggiare, diventando così un rifugio dei giocatori hardcore: un porto sicuro nel quale gli appassionati potevano trovare un grado di sfida elevato e soddisfacente. Il suo impatto culturale è stato talmente elevato da inaugurare un sottogenere dei giochi di ruolo, con una discendenza di titoli ad esso direttamente correlati. Alcuni esempi virtuosi sono Moria (1983), titolo ispirato ai romanzi fantasy del Signore degli Anelli, oppure Nethack (1987), evoluzione del precedentemente Hack (1982). Questi titoli possiedono una struttura simile e sono stati etichettati con la sigla Roguelike. La rivista Giochi Per Il Mio Computer aveva infatti dedicato, nel lontano 2009, un articolo che indicava una serie di fattori che definiscono in maniera chiara quando si ha davanti un titolo di questo filone artistico:
Esso consiste in una forte componente di generazione casuale, atta a favorire un’elevata rigiocabilità, un sistema di gioco basato su turni , morte permanente e soprattutto una minimalista grafica di tipo ASCII, ovvero composta da caratteri alfanumerici.
L’articolo, ormai un po’ datato, considerava i canoni che molti utenti e sviluppatori avevano tracciato nella fantomatica Interpretazione di Berlino, un documento che individuava alcuni elementi che rendono “tradizionale” un roguelike. Tra questi vi è anche lo stile grafico che un prodotto deve avere per essere considerato un “degno” simile di Rogue. Tutto ciò, ovviamente, incastra il genere all’interno di un periodo storico ben preciso, limitando anche la sua possibilità di espressione artistica e di quel progresso tecnologico che da sempre vincola inevitabilmente il medium videoludico.

Rogue (1980) ha una “grafica” completamente in carattere alfanumerico ASCII
Un Roguelike, nella sua forma tradizionale, è un prodotto di nicchia e tendenzialmente autoconservativo. Il gameplay è infatti esageratamente ripetitivo e difficile da approcciare per molti giocatori. Probabilmente serve una spinta per entrare ad apprezzare anche questa categoria di videogiochi. Anche la questione del combattimento a turni è discutibile. Se è vero che la difficoltà proposta da Rogue richiede un’attenta riflessione prima di ogni mossa, è altresì oggettivo che la presenza di un action combat non inquina di per sé un Roguelike. Anzi per certi versi contribuisce a renderlo dinamico anche grazie dinamico anche grazie all’evoluzione del concetto e significato di Hack ‘n’ Slash, ovvero un genere videoludico “spacca e squarta” con un’enfasi sul combattimento che ha come punto di riferimento Diablo di Blizzard.
Queste definizioni sono state quindi considerate da molti sviluppatori, ma seguite in minima parte per evitare di limitare anche le possibilità artistiche e commerciali. Negli ultimi anni, infatti, sono usciti tantissimi titoli che, basandoci sulle definizioni tecniche, chiameremo Roguelite. Questi ultimi sono riusciti a riscuotere un successo incredibile sia di critica che di pubblico. La prevalenza di questo filone ha portato quindi molti sviluppatori, recensori e giornalisti ad utilizzare il termine Roguelike come sineddoche, includendo anche i suoi sottogeneri ed evoluzioni. Non si tratta di un errore, ma di un’imprecisione tecnica non dettata per forza dall’ignoranza. Il consiglio generale è di non rimanere troppo fissati con le definizioni, soprattutto quando si parla di correnti artistiche. I generi mutano e si evolvono nel continuo processo artistico.
Con il termine Roguelite si intendono i titoli cha hanno uno stile che ricorda Rogue, ancorché più edulcorato e leggero. Alcuni esempi noti al grande pubblico sono The Binding of Isaac, Enter the Gungeon e FTL: Faster Than Light. Essi riprendono alcune meccaniche del prodotto originale e le alleggeriscono, inserendo una progressione al loro interno e una narrativa esplicita.

Enter the Gungeon (2016)
E’ qui che arriva Hades, il titolo sviluppato da Supergiant Games che porta un prodotto dalla natura Roguelite, ma con uno stile artistico incredibile e una narrativa perfettamente incastrata nella dinamica del gameplay. Secondo le riviste Inverse e Kotaku, Hades ha portato una ventata di aria fresca ad un genere spesso odiato da molti videogiocatori, redimendolo e rendendolo maggiormente “digeribile”. La formula messa in campo dal team indipendente di San Francisco è vincente, fidelizzando ai roguelike una comunità di persone che prima, anche solo sentendo pronunciare il termine, scappava a gambe levate.
In Hades vestiamo i panni di Zagreus, figlio di Ade, nella sua perigliosa fuga dall’Oltretomba. Per cominciare una nuova vita nel mondo dei mortali. Tra drammi familiari e carneficine di demoni, Zagreus compie il suo viaggio attraverso il Tartaro, l’Asfodelo, i Campi Elisi e il Tempio dello Stige. Ad aiutarci nella nostra fuga sono le divinità dell’Olimpo, le quali, consce della situazione, concedono alcuni doni con i loro incredibili poteri. Ogni volta che ricomincia la fuga, le divinità che ci offrono i loro poteri saranno diverse. Ad ogni dono c’è la possibilità di scegliere da un pool casuale di potenziamenti fino a comporre una build di abilità. Le stanze nelle quali si ambientano i combattimenti sono state progettate precedentemente dagli sviluppatori, ma sono inserite in una sequenza sempre casuale e in linea con le meccaniche dell’originale Rogue. Alla fine di ogni regione infernale vi è una boss fight contro i “dipendenti” di Ade, personaggi famosi della mitologia e dell’epica greca che attraverso i loro dialoghi danno vita alla narrazione di base.

Hades (2020), Zagreus incontra Patroclo.
I personaggi, infatti, interagiscono con il protagonista e tra di loro attraverso dialoghi estremamente curati che caratterizzano con rispetto il personaggio, inserendolo in un arco narrativo dai toni cupi, ma allo stesso tempo leggero e mai banale. Il titolo è pieno di riferimenti alle opere classiche e riesce a cucire una lore di gioco profonda e peculiare. Essa riesce persino a giustificare il concetto di morte, Zagreus è infatti immortale essendo figlio di Ade. Ogni volta che perderà la vita sul campo di battaglia, rinasce da una vasca di sangue nel palazzo del padre e, attraverso i dialoghi, si comprende che tutto ciò che è successo nel nostro tentativo di fuga precedente non sarà servito nel gameplay, ma nella narrativa.
Il personaggio è conscio di ciò che è successo in precedenza e gli NPC interagiscono con lui consapevoli del precedente tentativo e dei rapporti che ha stretto con altri personaggi in quel tentativo. La profondità narrativa e filosofica viene dimostrata ulteriormente dalla possibilità di avere delle romance: il giocatore può decidere di stringere un rapporto sentimentale con tre diversi NPC. Attraverso questa meccanica, apparentemente inutile, gli sviluppatori approfondiscono quelle che sono le tre filosofie dell’amore greco: Éros, Agapè e Philìa.
A caratterizzare Hades come un Roguelite è l’esistenza di una serie di monete collezionabili nelle varie partite e spendibili nell’acquisto di potenziamenti permanenti. Sbloccare questi power up e perk fornisce un senso di progressione nel gioco, fattore che nei roguelike tradizionalisti non è minimamente contemplato. Questi si possono sbloccare nella stanza di Zagreus e concendono dei bonus che non vengono persi alla morte del giocatore, permettendo al gioco di essere più accessibile ad una vasta utenza senza però sacrificare la difficoltà e la sfida. Prima o poi tutte le sfide messe in campo vengono superate, attraverso un costante e progressivo miglioramento del giocatore nel padroneggiare il combat system al suo pieno potenziale. Il procedimento viene definito trial and error (prova e sbaglia) e stimola il giocatore alla ripetizione delle meccaniche fino a quando non riesce a trovare la soluzione più adatta per risolvere il problema.
Hades è un prodotto nuovo e fresco nel panorama videoludico attuale. Il team di Supergiant Games da anni ha sviluppato dei titoli intriganti degni di essere recuperati. L’azienda è infatti considerata come indipendente e nel suo comparto titoli figurano prodotti come Transistor, Pyre e Bastion. Hades è disponibile su Nintendo Switch e PC tramite Steam al prezzo di 20,99€.
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