Voci da depennare
Le voci di corridoio di questo mese sono tutte sbagliate.
Giuro: ce ne fosse una giusta.
Faccio un lavoro nel quale le scadenze sono sempre più pressanti, a inevitabile discapito della qualità. Ed è fondamentalmente colpa di noi doppiatori (attori, direttori, società), perché piuttosto che consegnare un prodotto indegno, o piuttosto che non consegnarlo del tutto, abbiamo abituato i clienti al fatto che in fin dei conti si può fare un bel lavoro anche con un po’ meno tempo. Allora magari si può anche con ancora un paio di giorni in meno. E allora anche con una settimana in meno. Dieci giorni. Venti. No, guarda, il film mi serve tra cinque giorni.
Ok. Si può fare.
Ne ho già parlato nel primissimo articolo di questa rubrica.
L’emergenza Covid ha imposto misure di sicurezza che hanno comportato una certa dilatazione dei tempi di lavoro, ma c’è lo spauracchio della Consegna ad alitarci sempre sul collo. Perché tra l’altro, sempre più spesso ci troviamo a lavorare su un montaggio preliminare. Poi arriverà il “final”, e bisognerà piazzare almeno un turno di integrazioni/rifacimenti. E poi c’è il controllo dialoghi. E se qualcosa nei dialoghi non funziona o non piace, sono altri rifacimenti.
Tempo prezioso che fugge, e la Consegna è sempre più vicina.
Eh sì. Ci sono dei controlli.
I detrattori del doppiaggio immaginano questa potentissima casta di attori mediocri e corrotti che si spartiscono il potere di rovinare film e serie, di stravolgerne i titoli, di fare il bello e il cattivo tempo col lavoro di ignari registi e attori esteri.
No.
Il nostro lavoro viene supervisionato e controllato a vari livelli, e sempre più spesso noi doppiatori siamo chiamati per i cosiddetti rifacimenti.
Perché abbiamo pronunciato male un nome.
Perché abbiamo dato del lei a un personaggio al quale avremmo dovuto dare del tu.
Perché pensavamo di aver detto “chirurgo” e invece è venuto “Chstfwhghmjk”.
Perché abbiamo detto “Stasera” e il cliente preferisce “Questa sera”.
E decine di altri possibili motivi, alcuni comprensibili, altri meno, altri per nulla. Ma noi siamo degli esecutori, e pur se con raziocinio e coscienza critica, eseguiamo. E se eseguiamo bene, il controllo successivo filerà liscio.
Ma in fretta! La Consegna!
Presto!
E bene.
Ma soprattutto presto!
Però anche bene.
Anzi, un po’ meglio, se possibile.
E presto.
E poi ti imbatti in “Uncle Drew”. È un tv movie la cui versione italiana, dopo un paio di giorni di proteste scandalizzate da spettatori del settore e non, è stata eliminata dal catalogo. Il problema però rimane.
Non si può dire che fosse doppiato male.
Il doppiaggio, anche quello pessimo, comporta una serie di passaggi che, se vengono seguiti con scarsa competenza da figure professionali inadeguate, porteranno a un risultato scadente.
Nel caso in esame, non c’era traccia dei requisiti minimi necessari nemmeno per parlare di brutto doppiaggio.
Sinc non pervenuto.
Dizione sconosciuta.
Recitaz… eh?
Suono inciso probabilmente con Garage Band e il microfono del cellulare a casa di qualcuno.
E… beh, si parlava dei controlli.
Mi immagino questa scena in cui un “controllore”, dopo aver chiesto un rifacimento URGENTISSIMO, per carità, a… che so io… Gianfranco Miranda perché ha detto “Ciao” e invece è meglio “Ehi”, sente questa roba e dice “Ok. Mandiamola in onda”.
E ancora una volta, di chi è la colpa?
Nostra.
Siamo stati noi doppiatori i primi a perdere ogni rispetto per quello che facciamo. E se proprio noi ci approcciamo al nostro lavoro come se fossimo l’ultima e meno necessaria ruota del carro, come possiamo pretendere che gli altri rispettino quello che facciamo?
Credo che Amazon abbia fatto benissimo a far doppiare “Uncle Drew” in questo modo. E dovremmo farne tesoro. Perché siamo stati noi a renderlo possibile. Abbiamo svalutato a tal punto il nostro lavoro, economicamente e qualitativamente, che agli occhi di un’azienda non c’è molta differenza tra un doppiaggio eseguito a regola d’arte e uno affidato a persone che non parlano neanche fluentemente italiano.
Casi come “Uncle Drew” emergono sempre più spesso, su un numero sempre maggiore di piattaforme. Sollevando sgomento e indignazione, ma senza mai produrre risultati apprezzabili in termini di presa di coscienza. E sono tutti colpi di cannone alle già compromesse murate della nave del doppiaggio.
Perché se il livello dei doppiaggi “buoni” continua a scendere ed emergono sempre più doppiaggi improvvisati, per quale motivo l’utente medio dovrebbe continuare a guardare prodotti doppiati?
Ed ecco profilarsi un futuro (auspicato da diverse persone) nel quale il doppiaggio sarà finalmente solo una voce da depennare dai bilanci annuali.
Edoardo Stoppacciaro
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