Rischio e difficoltà nei videogiochi

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Rischio e difficoltà nei videogiochi

“O il Piave o tutti accoppati”, recitava la famosa scritta, forse propagandistica, a ridosso di quello che poi venne definito il Fiume Sacro della Patria, all’indomani della disfatta di Caporetto. La scritta poneva una scelta: prendere il Piave significava vederne accoppati un po’, ma non tutti. Se tutti fossero stati accoppati, allora il Piave non sarebbe stato preso. La drammaticità di quel momento, che segnò il destino del nostro Stato, si risolse a favore della prima opzione. Un evento monumentale: epico per sua natura, generato da uno sforzo e da un rischio che andrebbe celebrato e ricordato costantemente, così come accade per qualsiasi altro avvenimento storico che pose agli individui la scelta tra il raggiungimento di un obiettivo e la sconfitta definitiva. Ma nella cultura di oggi ciò non accade: oggi tutti prendono il Piave e nessuno viene accoppato.

Nei videogiochi, il medium nel quale l’interazione permetterebbe, meglio di ogni altro, l’immedesimazione del giocatore in una simile scelta, ora tutti sono protagonisti. E i protagonisti, con buona pace di qualche eccezione alla Game of Thrones, non muoiono, e se vengono sconfitti tornano presto più forti di prima. Sono pochissime, infatti, le opere interattive nelle quali al fruitore viene posto davanti un serio rischio di fallimento. Esse sono spesso relegate dietro l’aggettivo hardcore, spesso usato in termini negativi, per descrivere qualcosa di difficile, adatto a pochi masochisti che godono nella possibilità della loro sconfitta – laddove invece il grande pubblico sta dietro il conformarsi della vittoria, che è sempre certa e può al massimo essere posticipata, ma mai negata del tutto.

Ma questa concezione, a ben pensarci, annulla a priori lo stesso concetto di scelta: se la sconfitta non può verificarsi, allora in realtà non c’è alcuna alternativa, e l’interazione non è che una finzione, una comoda farsa che, in nome del feel good per i giocatori, è perpetrata sempre più dalle opere videoludiche. Eppure il rischio del fallimento è qualcosa che nella vita reale è onnipresente. Ogni scelta compiuta espone il suo autore ad un rischio, da cui deriva un’emozione ed una immedesimazione totale nella decisione che viene presa. Perché, dunque, lo stesso non può verificarsi nel medium videoludico, che è il medium interattivo per eccellenza?

Le cause, con ogni probabilità, sono principalmente economiche. Si tende infatti a pensare che il videogioco nel quale tutti sono protagonisti e vincitori sia più appetibile per le grandi masse rispetto a quello nel quale è costante il rischio della sconfitta. Laddove il giocatore è libero di sbagliare, quasi sempre si rientra nella categoria dei giochi “a somma zero”: “una situazione in cui il guadagno o la perdita di un partecipante è perfettamente bilanciato da una perdita o un guadagno di un altro partecipante in una somma uguale e opposta”.

Dunque in tale categoria di prodotti, c’è sempre qualcuno che vince e conseguentemente qualcuno che perde. In questo senso, il rischio non è soltanto proprio del giocatore, ma lo è anche per gli stessi sviluppatori, che devono accettare il fatto che alcuni potenziali fruitori non riescano ad accettare questa semplice verità, e preferiscano non giocare al titolo, volendo rifugiarsi in un ambiente sicuro e pregno di vittoria, nel quale le scelte non esistono ed il cuore non batte quando queste vengono illusoriamente seguite. Il risultato è un susseguirsi pedissequo di eventi privi di significato, in una sorta di racconto già scritto nel quale nessuna interazione potrà mai modificare l’andamento delle cose, a tutto svantaggio sia della verosimiglianza, sia del potenziale educativo e di intraprendenza che il titolo potrebbe invece avere.

Laddove il giocatore è invece costretto a compiere delle scelte, che potrebbero portare anche a conseguenze piuttosto pesanti, questo pensa, si documenta, e infine decide liberamente, portando a casa il risultato o venendo sconfitto ed imparando la lezione per il futuro. L’idea di non permettere un margine di errore a chi fruisce di un’opera videoludica è tanto triste quanto imbruttente: nei videogiochi non ci si gioca di certo la vita come facevano gli arditi sul Piave, dunque perché non permettere al giocatore di sbagliare, quando al massimo le conseguenze del suo errore saranno la perdita di un po’ di tempo di gioco?

Questa concezione, che da sempre accompagna l’industria videoludica, si sta tuttavia rapidamente sgretolando. Titoli ad alto rischio e profondamente liberi, come Eve Online,che continua a macinare utenti sin dal 2004, oppure Escape from Tarkov, che dall’anno scorso ha ottenuto un successo planetario, dimostrano inequivocabilmente che una consistente fetta dell’utenza richiede e predilige un mondo nel quale le scelte esistono, ed esiste pertanto anche la possibilità di sbagliare. Anche l’utente meno coraggioso e meno incline al rischio, se sottoposto al giusto titolo, capirà la bontà di un sistema che gli garantisca la libertà di sbagliare. E comprenderà che, nella somma zero, prima o poi sarà lui a vincere ed un altro a perdere.

Articolo di Giacomo Conti di MMO.it

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