Creare il proprio avatar nei videogiochi è una cosa seria
I videogiochi sono un mezzo che ci permette di vivere una grande varietà di avventure all’interno di un mondo virtuale. Una sorta di portale dimensionale verso un mondo nuovo e diverso, che ci possa accogliere e che possa permetterci un’immedesimazione il più possibile completa. A volte vestiamo i panni di personaggi già formalizzati dagli sviluppatori, cercando di pensare come loro e di vivere le loro avventure empatizzando con essi. Altre volte, invece, è il mondo di gioco ad essere formalizzato e sono i giocatori a dover scegliere chi sono e come appaiono. Nei videogiochi di ruolo (CRPG) è richiesto al giocatore di scegliere il proprio avatar e di caratterizzarlo come meglio crede. Le schermate di creazione possedevano inizialmente parametri di modifica minimali; talvolta non permettevano nemmeno di cambiare il genere alla classe selezionata, come accadeva in alcuni hack and slash isometrici come Diablo II o Torchlight.
Questa scelta di game design, che pian piano sta cadendo in disuso e riguarda solo più alcuni MMORPG di produzione asiatica (ad esempio Black Desert Online), prende il nome di gender lock: ovvero quando determinate classi all’interno del gioco sono legate indissolubilmente al genere del personaggio, permettendo, ad esempio, solo ai personaggi maschili di interpretare i barbari e solo ai personaggi femminili di interpretare una maga. Si tratta insomma di una scelta di game design profondamente discutibile e sessista, che non permette al giocatore di essere coinvolto appieno nell’azione di gioco. Il genere videoludico in questione, infatti, dovrebbe garantire al giocatore una grande varietà nella personalizzazione dell’avatar o, nel linguaggio semiotico, del simulacro.

Schermata di selezione personaggio in Torchlight, titolo del 2009 sviluppato da Runic Games.
E’, infatti, questa una delle parole chiave di un’ottima schermata di creazione del personaggio: la varietà. Avere un gran varietà di parametri modificabili, permette al giocatore di immedesimarsi maggiormente nel personaggio e di sentirlo proprio. Massimo Maietti nel suo libro Semiotica dei videogiochi, analizza in questo modo la varietà di personalizzazione del simulacro:
Il gradiente determina la capacità del giocatore di «far proprio» il simulacro. Un gradiente minimale assegnerà al giocatore un ruolo di aiutante del proprio simulacro, gli consentirà di controllarlo solo sotto alcuni aspetti. Un gradiente massimale, al contrario, concederà al giocatore un ruolo di deus ex machina, di burattinaio dotato di un autorità completa su ciò che il simulacro-burattino è e su ciò che fa.
All’interno di un gioco di ruolo, online od offline, è giusto concedere al giocatore un gradiente massimale, trasformando il giocatore in un burattinaio con autorità completa sul proprio simulacro. Questo è importante non solo nella schermata di creazione del personaggio, ma anche sulla possibilità di, una volta catapultati nel mondo di gioco, poter modificare il suo aspetto e le sue caratteristiche a posteriori.
Per quanto riguarda i videogiochi online la questione assume anche sfaccettature di tipo sociale: la possibilità di emergere nel marasma di giocatori ammassati nell’HUB è fondamentale per non apparire soltanto un altro giocatore dall’avatar uguale agli altri. E’ così che, soprattutto nei titoli cosiddetti freemium (free-to-play con alcune funzionalità a pagamento), fuoriesce un’ampia gamma di oggetti estetici. Molti di questi sono, sfortunatamente, a pagamento, costringendo l’utente a dover spendere valuta reale per poter caratterizzarsi al meglio.
Ma la varietà da sola non è sufficiente: in un titolo possono inserire tutti i parametri necessari ad una modifica maniacale dell’avatar, ma se molte delle caratteristiche non possono essere sfruttate nel corso del gioco, queste rimangono solo informazioni utili all’immedesimazione psicologica, ma superflue per lo svolgimento del gioco. E’ quindi importante, a mio avviso, rendere spendibili queste caratteristiche. Esse non devono riguardare per forza solo l’aspetto estetico, ma anche i suoi ideali, il suo carattere e le sue competenze.
Ci siamo stupiti negli ultimi mesi alla notizia che in Cyberpunk 2077, nuovo titolo action RPG sviluppato da CD Projekt e in arrivo il 10 dicembre, il giocatore ha la possibilità di modificare perfino l’apparato genitale. Ci sono infatti differenti varietà tra cui scegliere e c’è da chiedersi, anche legittimamente, se queste opzioni hanno un’utilità di gameplay o nella storia? Guardando nella pagina ESRB (Entertainment Software Rating Board) del prodotto della software house polacca, si può infatti notare dei passaggi molto interessanti:
Players can select a gender and customize their character; customization can include depictions of breasts, buttocks, and genitalia, as well as various sizes and combinations of genitals. Players can encounter events where they have the option to engage in sexual activities with other main characters or prostitutes—these brief sex scenes (from a first-person perspective) depict partially nude characters moaning suggestively while moving through various positions.
I giocatori selezionano un genere a personalizzano il proprio personaggio; la personalizzazione può includere rappresentazioni di seni, glutei e genitali, così come varie dimensioni e combinazioni di genitali. I giocatori possono incontrare eventi nei quali hanno la possibilità di intrattenere rapporti sessuali con altri personaggi principali o prostitute – queste brevi scene di sesso (da una prospettiva in prima persona) raffigurano personaggi parzialmente nudi che gemono suggestivamente mentre si muovono attraverso varie posizioni.
Anche la sessualità è una caratteristica importante per l’introspezione di un personaggio e per l’immedesimazione. Spesso però molti titoli decidono di non affrontare questa tematica, poiché nel 2020 ancora troppe persone la considerano un tabù. Avere una scelta vasta al momento della creazione è importante per definire chi vorresti essere in quel mondo virtuale e il potersi immedesimare in personaggi che non ci rispecchiano può diventare una variabile educativa, al fine di comprendere anche determinate dinamiche sociali. Negli MMORPG, infatti, si ha a che fare con altri giocatori e con una società vera e propria, che inevitabilmente ripropone elementi del mondo reale al suo interno. Su quest’ultimo argomento si potrebbe spaziare all’infinito, citando anche paper accademici di ricerca e libri interi.
Creare il proprio avatar è una scelta ponderata che non andrebbe presa alla leggera. Si tratta infatti di costruire un’identità alternativa e di immedesimarsi in essa, una sorta di « io » ideale o semplicemente la volontà di essere qualcun altro durante le ore di gioco. Un rifugio dalla realtà all’interno del quale dobbiamo continuare a distinguerci, per non essere solo uno dei tanti avatar nell’HUB. Creare il nostro avatar, insomma, è una cosa seria.
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