Valeria Corona; non è ancora finita
Rieccoci. Ho accettato.
Ho preso il mio tempo e ho accettato.
Valeria Corona continuerà la sua rubrica. Non parleremo solo di Covid, parleremo del mio lavoro e di noi. L’epidemia non è ancora finita, ma ci siamo ancora.
Combattiamo insieme, e andiamo avanti. Tra paure e conquista continuiamo.
Il mio lavoro col covid-19 è finito, almeno per ora.
E’ strano scrivere questa frase, ho aspettato questo momento per mesi e mi sembra assurdo che sia arrivato. Con questo non intendo dire che il virus sia sparito o che non sia più sul nostro territorio: è ancora qui e non abbiamo ancora capito come sconfiggerlo definitivamente, purtroppo. Le possibilità di tornare a lavorare come ad aprile sono altissime. Però, per ora, io ho finito. La convenzione del mio ospedale con la sanità per i pazienti covid positivi è terminata: non c’è più necessità, i numeri dei contagiata che necessitano la terapia intensiva sono in calo e quindi si torna alla normalità. O così dicono. In realtà il mio ospedale ha subito dei cambiamenti drastici che rimarranno tali per ancora tanto tempo: innanzitutto il numero dei pazienti per stanza è ridotto per mantenere la distanza di sicurezza e dovremmo comunque tenere una mascherina per tutte le 8/12 ore lavorative (FFP2 ovviamente). Sarà una faticaccia respirare, ma direi che dopo aver affrontato il reparto di terapia subintensiva di malattie infettive con uno scafandro di plastica non mi ferma più nulla.
Come dicevo: il mio lavoro col covid-19 è finito. Riprenderò la mia vita da semplice “infermiera” senza l’hashtag #eroiincorsia che era un po’ sopra le righe e fuoriluogo per i miei gusti e, visto l’amore e l’apprezzamento che avete dimostrato nei miei confronti e nei confronti di questa rubrica, Daniele mi ha offerto un appuntamento mensile sulle mie disavventure professionali qui su Niente Da Dire e ho deciso di accettare.
Sono tornata nel soppalco oggi, era completamente vuoto. Ho avuto la fortuna (ironia portami via), di essere la prima tra le mie colleghe a tornare in reparto e quindi ho potuto apprezzarne lo stato di abbandono, la vuotezza e abbiamo dovuto sistemarlo da zero, rifornire carrelli e occuparci di nuove procedure e sistemazione delle camere. Ho cambiato coordinatrice. Continuavo ad ordinare il reparto in maniera sistematica, senza accorgermi delle ore che passavano, disabituata completamente a lavorare con solo il mio camice, a vedere arrivare i pazienti e potergli stringere la mano con un solo paio di guanti e un solo strato di mascherina, a non dover camminare solo sul lato destro del corridoio. Poi mentre tornavo verso la guardiola, all’improvviso, i miei occhi sono caduti sul pavimento del corridoio: l’alone lasciato dalla striscia che separava lo sporco dal pulito era ancora perfettamente visibile nel marmo. La famosa striscia gialla e nera. Non importa che quel pavimento lo abbiano sanificato, disinfettato e incerato, rivoltandolo da cima a fondo per farlo tornare com’era: la macchia resta.
Una macchia indelebile che ci ricorderà per sempre che quel reparto ha affrontato una pandemia globale. Esattamente come noi. Una cicatrice difficile da eliminare, ma di cui andare fieri.
Al prossimo mese.
A questo link trovate il mio diario, la raccolta del mio lavoro durante la quarantena. Vi aspetto.
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