QUINO: la poesia nella minestra
Verso la fine degli anni settanta, io e la mia famiglia eravamo a Bologna per le vacanze pasquali. A quei tempi non si usava pernottare nelle camere d’albergo ma ci si faceva ospitare dagli amici o dai parenti. Una di quelle situazioni in cui i bambini vengono accampati in quattro o cinque nella stessa camera, su brandine e letti di fortuna. Tutto aveva un che di avventuroso e di nuovo. In quei giorni, girovagando per la città, approdammo ad un mercatino pieno di bancarelle, compresa una che vendeva libri e fumetti usati. Papà ci disse che potevamo sceglierne uno a testa.
Non proprio quel tipo di cosa che era necessario ripetere due volte.
Alle mani di mio fratello restò attaccato un libricino azzurro con un cane che dormiva sul tetto della sua cuccia. Il mio fumetto invece era rosso, zigrinato e sulla copertina una bambina arrabbiata picchiava un pugno sul tavolo.
Era il quinto volume della serie Tutto Mafalda, intitolato Abbasso la Minestra.
Fu amore a prima vista (per Mafalda, non per la minestra).
In qualche modo avevo intuito di avere per le mani un’opera importante. Qualcosa che trascendeva il semplice linguaggio scritto. Una di quelle raccolte capace di arrivare chissà come, molto più in profondità. All’epoca non avevo alcuna familiarità con il concetto di satira e per dirla tutta, Mafalda non era solo questo.
È vero. Molte battute le capii anni dopo; insomma dai… quanti bambini di otto anni sanno cosa sia un burocrate. Eppure leggevo e rileggevo deliziato il piccolo volume percependo sempre di più quello che spiccava dietro le apparenze.
Vidi in Joaquín Salvador Lavado Tejón, in arte Quino il più delicato, sensibile e divertente poeta dell’immagine mai esistito.
Leggere Mafalda, quando sei un bambino può avere effetti imprevisti sull’intelletto. Laddove in genere dovrebbe notarsi, poco a poco uno sviluppo, a volte si osservava di colpo e di botto una crescita. (cit.)
Le scuole elementari non insegnavano la guerra nel Vietnam, la sovrappopolazione, la crisi economica e i Beatles. Non lo faceva nemmeno Mafalda, in effetti. Ma la bambina che odiava la minestra aveva domande per ogni cosa e non aveva paura di farle.
E le domande, come si sa, sono contagiose.
Eppure, come è noto, Mafalda non è l’unico prodotto degno di nota del poeta Argentino.
Non sono molti gli artisti capaci di esprimersi su due fronti così distinti come quelli scelti da Quino. Pur usando sempre il disegno come forma espressiva, egli fu straordinario nell’uso della parola scritta e profondo ed elegiaco con il disegno muto.
Mafalda qualche volta ti colpisce con il mattone della consapevolezza.
Le vignette mute di Quino invece, destano un’ammirazione senza confini.
Lungimirante e modesto, Quino smise di scrivere Mafalda, conscio del fatto che lei aveva già detto tutto quello che poteva per risvegliare le menti di questo sistema imperfetto. La sua intensa bibliografia continua comunque a scuotere l’albero delle coscienze sperando che cada qualche mela. Centinaia di vignette per decine di raccolte.
D’altronde, come disse una volta Nando, il fratellino di Mafalda, “Non è incredibile quante cose ci stanno in una matita?”
Quino è stato un benefattore dell’anima. La geniale, delicata voce che ci ha insegnato a fare domande sul mondo al mondo.
Un mondo che senza di lui è un po’ più grigio e triste, ma sempre più bisognoso di bambini che fanno domande a genitori desiderosi di cercare le risposte.
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