Game-based learning: imparare giocando
RIENTRO ALLA VECCHIA SCUOLA
Non ho intenzione di parlare dettagliatamente di come sarà questo rientro a scuola per gli studenti e per gli insegnanti. Soprattutto perché, nel momento in cui scrivo, tante cose non sono ancora state chiarite dal Ministero dell’Istruzione.
Ma una certezza c’è nella forma che avrà la Scuola, ed è una cosa che da pedagogista proprio fatico ad accettare.
È la certezza che siamo fermi al 1923. Lo sapevate? Qualsiasi riforma successiva non ha cambiato la Scuola poi così tanto. La sua forma è rimasta la stessa, così come la mentalità della sua didattica. Certo, ricorderete che sono state abolite – e meno male! – le punizioni corporali. Sono state tolte e aggiunte materie. Sono entrati di soppiatto i nuovi strumenti tecnologici e persino internet – per fortuna, altrimenti si sarebbe fermato tutto durante la pandemia.
Eppure i banchi, la cattedra, la lavagna, il modo di fare lezione, rimangono fermi a quasi un secolo fa.
UNA SCUOLA SERIA
Abbiamo questo brutto vizio di non riuscire a concepire una Scuola fuori da questi schemi. Come se una scuola che provi ad usare i banchi in maniera differente, o che abolisca la cattedra come segno di potere dell’insegnante, sia una sciocchezza. Come se fare lezione in modo più interattivo, dialogato, appoggiandosi persino ad attività ludiche, sia una mancanza di serietà. E sembra sia inutile che delle ricerche dimostrino che stare seduti così tanto tempo al banco faccia male, o che alcuni alunni apprendano meglio se nel frattempo possono muoversi liberamente. Sembra sia inutile che le neuroscienze abbiano dimostrato che la memoria di un apprendimento è più duratura quando questo è avvenuto giocando.
A scuola bisogna essere seri: al massimo si fanno giocare i bambini della primaria, ma poi si cresce.
GAME-BASED LEARNING
C’è un filone della pedagogia, però, che si intreccia con gli studi psicologici e neuroscientifici, e che si occupa di apprendimento e gioco. Negli anni ‘70 negli Stati Uniti è stato prodotto e diffuso The Oregon Trail, un computer game che aveva lo scopo di far utilizzare agli alunni del primo grado di istruzione un videogioco come strumento per imparare. Il gioco ebbe successo e il suo utilizzo nelle scuole durò fino al 1995.
Da questo esperimento nacque la didattica detta game-based learning, che utilizza giochi e videogiochi come strumento per l’apprendimento di nozioni e competenze.
COME FUNZIONA
Sembra che questo tipo di didattica si basi principalmente sull’empatia: i giochi digitali (e i GdR aggiungo io), a differenza di altri medium, esercitano un maggior coinvolgimento dell’individuo all’interno di scenari e situazioni e gli consentono quindi di mettersi più facilmente nei panni del protagonista. Le emozioni sono dunque intensificate, rendendo il momento dell’apprendimento decisamente più motivante e imprimendolo meglio nella memoria dell’alunno.
La tecnologia immersiva, inoltre, sviluppa la creatività, la concentrazione, l’apprendimento per prove ed errori e la collaborazione. Dall’applicazione di giochi in contesti non ludici nasce anche il termine “serious games”. Dunque, nel momento in cui utilizziamo l’approccio game based learning all’interno della scuola, stiamo proponendo dei serious games agli alunni. Con questo metodo, l’apprendimento si basa su livelli di gioco, su attività di gruppo, sul raggiungimento di obiettivi attraverso punteggi e premi. Diversi giochi e videogiochi aiutano a imparare le lingue, la storia, la matematica; altri invece trattano tematiche trasversali di cui la scuola si prende cura da diverso tempo: bullismo, integrazione, diversità e migrazioni.
RIVOLUZIONE LUDICA
Ovviamente avere il coraggio di fare questo passo e introdurre dei giochi nella didattica, vorrebbe dire cambiare radicalmente la metodologia di insegnamento, ma anche il concetto stesso di Scuola. Durante la quarantena è stato evidente come le tecnologie digitali abbiano salvato e favorito la continuità didattica, consentendo le lezioni a distanza. Mai è stato più chiaro di così che l’ambiente di apprendimento non coincida più, ormai, con il solo spazio fisico dell’aula scolastica. Il digitale, il virtuale, diventa uno spazio utile per l’insegnamento.
Mai come in questo momento ci troviamo nella situazione più favorevole a un cambiamento della didattica, a una rivoluzione non solo digitale, ma soprattutto ludica, della scuola.
Giada Taribelli
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