Onigiri Calibro 38

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Ricordi di un’estate

Era l’estate di qualche anno fa.
Eravamo in tour, per la precisione nelle tappe a Tokyo.
Il giorno prevedeva Odaiba, l’isola artificiale non lontana dalla città, famosa perché base della riproduzione del Gundam 1:1.
Attualmente la statua è quella dello Unicorn, al tempo c’era ancora lo RX-78 G-2, per darvi un’idea temporale. Adoro sempre sentire i gridolini entusiasti arrivare da trentenni e quarantenni solitamente composti, quando girando l’angolo compare il primo braccio e poi tutto il resto del corpo del colosso. È come se improvvisamente potessero rilasciare il bambino che hanno dentro, che guardava quel cartone, senza temere che qualcuno li giudichi: è liberatorio e pieno di gioia.

Ma non è di questo che volevo parlarvi.
Volevo raccontarvi di cos’ho fatto con due miei amici in viaggio con me quel giorno.

La casa degli orrori

Sapevo che circa al settimo piano di uno dei numerosi centri commerciali presenti sull’isola, c’era una casa infestata che si diceva valesse la pena di essere visitata.
Badate bene, non ero mai entrata in un’attrazione del genere in vita mia e non sapevo cosa aspettarmi (cioè, le avevo viste solo negli anime).

All’esterno c’è molto caldo, per un momento ci godiamo l’aria condizionata che ci rinfresca le membra mentre saliamo con le scale mobili – sempre evitare gli ascensori in Giappone– .
Sebbene il resto dell’edificio era composto da negozi di prima categoria strapieni di marche di qualità e design all’ultimo grido, quel piano era completamente dedicato al vintage: sembrava di essere tornati indietro nel tempo, al Giappone degli anni ’60.
Il nostro obiettivo quasi ci scappa, è una casa diroccata scura contro le mura scure, ha assi di legno con scritte in vernice sbiadita, vecchie bambole impolverate per terra e un manichino di gusto discutibile davanti all’entrata.

Mi faccio avanti alla cassa con spavalderia, non per niente sono la guida, mi viene chiesto se entro da sola o con qualcun altro: “3 persone” dico in giapponese e ci danno 3 fogli da compilare… Il fatto che ci facciano firmare un documento in cui attestiamo che non siamo malati di cuore e che non intendiamo picchiare nessuno degli attori all’interno della casa comincia a farmi preoccupare.
Così come il fatto che ci legano con una corda spessa e solo al capofila danno una torcia.
Io finisco in fondo alla fila. No non è bene, ma lo scoprirò solo dopo.

Chiusi in un laboratorio

Ci chiudono in una stanzetta con una vecchia tv a tubo catodico in cui una trasmissione disturbata vede uno scienziato che ci spiega che siamo in una scuola abbandonata, infestata dallo spirito di una studentessa che si è probabilmente suicidata. Mi accorgo allora che siamo in un vecchio laboratorio di scienze. Da lì comincia la nostra avventura, dobbiamo trovare un piccolo altare e pregare perché l’anima dispersa trovi la pace.

Ci inoltriamo in vicoli bui, l’unica luce che abbiamo è quella della torcia che ha il primo in fila.
Sento cose strisciare nei muri, passi rapidi alle mie spalle, sono convinta che da un momento all’altro, mentre ci muoviamo in quei corridoi angusti, qualcosa mi afferrerà le braccia e verrò risucchiata dalle tenebre.
Mi continuo a ripetere di non voltarmi indietro, di focalizzarmi solo su ciò che c’è davanti, ma è più forte di me e ogni tanto giro appena appena la testa, quel tanto che basta per scorgere una sagoma bassa a pochi passi di distanza.
Per tutto il tempo veniamo inseguiti da ciò che non possiamo vedere.
Abbiamo paura dell’ignoto, lo sentiamo dietro di noi, lo percepiamo nell’aria e più ci inoltriamo nell’oscurità più il terrore cresce.

Un’ottima metafora della vita, non credete?

Arrivati alla fine, portato a termine il nostro compito e ridato la pace all’anima inquieta della povera studentessa ci rilassiamo… e ci vengono regalate anche delle caramelle (che mangiamo con gusto anche se ci sono state regalate da un fantasma e i genitori ci hanno sempre detto di non accettare niente dagli sconosciuti).

CORRETE!

Ma, ad un tratto, con voce allarmata la ragazzina ci intima di cominciare a correre perché “Sta arrivando”, chi e perché non si sa, l’unica cosa certa è che dobbiamo uscire da lì! Mi giro verso i miei due compagni di avventure e noto che sono tranquilli e che non muovono un passo mentre io ho la pelle d’oca fin dietro le orecchie. Intanto le urla continuano “Correte! Scappate presto!”, solo dopo 30 lunghissimi secondi mi rendo conto che quell’ultima parte è in giapponese, e che tra i 3 sono l’unica a capirlo, per questo sono l’unica ad sentire l’urgenza di fuggire.

In quel momento mi colpisce la consapevolezza che sapere quel qualcosina in più, spesso, fa la differenza tra l’andare avanti o rimanere bloccati dove si è.

Volete sapere com’è finita? I miei amici mi hanno ascoltata e siamo scappati fuori, il cuore in gola e le caramelle strette nelle mani dai palmi sudati.
Caramelle all’uva, buonissime.

Io non entrerò mai più in una casa infestata, per quanto sia cosciente che è tutta finzione.
Ma quel ricordo lo porterò sempre con me, il brivido che mi ha rinfrescato la pelle in una calda giornata estiva.

Love, Monigiri 

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