Cosa ci spaventa nel Cinema Horror?

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Cosa ci spaventa nel Cinema Horror?

Prima o poi, capita a tutti noi. Possiamo cercare di evitarlo in ogni modo, svicolando il discorso o fingendo di esserci appena ricordati un appuntamento improrogabile ma le scuse non possono durare in eterno. Per quanti sforzi facciamo, finiremo comunque ad affrontare un amico o un conoscente che ci porrà la fatidica domanda: “Mi consiglieresti un film horror che faccia davvero paura?
Ok, vi starete domandando cosa ci sia di tanto spaventoso (per restare in tema) in una simile richiesta. D’altronde, basta andare a recuperare qualche classico dell’horror se stiamo parlando con un neofita o uno degli ultimi fenomeni del genere se invece abbiamo a che fare con uno spettatore più smaliziato. Risolveremmo in pochi secondi e scaricheremmo la responsabilità della nostra scelta sui critici che hanno attribuito a quelle pellicole voti e lodi incondizionate. In realtà, molto spesso, agiamo in maniera diversa e, di fronte a questa richiesta, optiamo per commettere l’errore fatale: scegliere ciò che ha spaventato noi per primi.

Potremmo estendere una simile considerazione anche ad altre richieste come “Consigliami una bella serie su Netflix” oppure “Consigliami un bel romanzo leggero, che non sia troppo impegnativo ma che soddisfi!” In tutti questi casi, adottiamo la nostra esperienza come parametro principale e finiamo per suggerire qualcosa che sia piaciuto molto a noi mentre, invece, dovremmo suggerire qualcosa che potrebbe piacere all’interlocutore! Commettere questo errore comporta conseguenze letali quali proporre la vostra serie TV del cuore a qualcuno che la stroncherà senza appello, mettendo a repentaglio amicizia (la vostra) e vita (la sua).

Con il Cinema Horror, la faccenda si complica ulteriormente perché non si parla soltanto di gusti ma ci si addentra nel magico mondo delle sensibilità personali. Si commette sovente l’errore di attribuire ai film dell’orrore una capacità universale di spaventare e questo vale anche per i capolavori conclamati. Sono innumerevoli gli studi che attribuiscono alle pellicole di genere una non comune capacità di toccare corde diverse nei singoli spettatori. Il giornalista John Hess, ad esempio, ritiene che gli horror funzionino perché le sensazioni negative che proviamo durante la visione amplificano le sensazioni positive al momento della sconfitta del villain, facendoci “del bene”, insomma. Quello che non tutti analizzano a dovere, però, è come l’orrore si nutra delle paure dei singoli spettatori e, come è prevedibile, tutti noi temiamo cose diverse.

Esorcista Mr RobEcco il vero problema, la falla destinata a rendere un film horror il prodotto meno facilmente consigliabile e più soggetto a delusioni, fraintendimenti o ripensamenti: la paura ha innumerevoli sfaccettature. Chi vi scrive ricorda come una carissima amica, capace di assaporare film slasher e horror d’atmosfera inglesi come se fossero un cocktail in una giornata afosa, perdesse completamente la sicurezza e invocasse di interrompere la visione di fronte a “L’Esorcista” di William Friedkin. Per lei, la paura connaturata al maligno e inserita in un ambiente suburbano così convenzionale e comune faceva leva sulla sua formazione da giovane cattolica e suscitava un terrore atavico che nessun serial killer armato di lame per ogni dito della mano sapeva generare.
Michelle Park, dell’università di Long Island, affermava nel suo studio “Estetica e Biologia dietro i film Horror” che lo studio di ciò che terrorizza una persona aiuta a comprendere l’attività cerebrale e, in sostanza, a capirne alcuni lati celati. Tutti noi appassionati di film horror amiamo farci spaventare ma è ciò che ci spaventa a descriverci nel dettaglio. Quando ero ragazzino, ad esempio, nutrivo un terrore disumano per una delle ultime sequenze del film “Dellamorte Dellamore” di Michele Soavi. Quando Rupert Everett crede di potersi confidare con l’amico che giace in un letto di ospedale e questi, spalancando gli occhi, inizia a urlare “Non so chi sei, vattene via!”… beh, mi ritrovavo a tremare da capo a piedi. Sarà stato merito di quel grandangolo improvviso che esasperava la smorfia di dolore dell’uomo? Oppure dello sguardo annichilito di Everett quando si rendeva conto che l’unica persona che conosceva davvero in vita sua sembrava non conoscere lui? In sostanza, la paura scattava in me per artifici visivi o per una componente emotiva? Me lo domando ancora ed è il motivo per il quale, da me, non avrete mai consigli su questo fronte.

Per conoscere le vostre paure dovete conoscere molto bene voi stessi. Per godervi la paura generata da un film horror dovete prima sapere quali tasti si renderà necessario premere.

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