Hardcore Queer – dal Proto-Punk anni Settanta all’Emo degli anni Zero.

David Johansen & Jayne County
Contrariamente a quanto si possa pensare, il Punk non è mai stato un ambiente particolarmente accogliente per la comunità LGBTQ, almeno inizialmente. E’ difficile dare una precisa definizione al Punk come movimento culturale e come genere musicale, con le sue molteplici anime, tutte le sue sotto-correnti e la sua complicatissima e confusa natura. Una natura ricca di contraddizioni, perchè il Punk è per sua stessa definizione queer, ma allo stesso tempo porta con sè una triste storia di mascolinità tossica ed omofobia.
Ne troviamo un esempio già analizzando l’etimologia del termine. Tra il XVI ed il XVIII secolo il termine “punk” era sostanzialmente un sinonimo di “prostituta”, mentre al giorno d’oggi è utilizzato per definire un ombrello di generi musicali la subcultura giovanile ad essi legata. Nel periodo che intercorre tra questi due significati, il termine era però utilizzato comunemente come insulto volgare di carattere omofobo.
Cosa interessante è il fatto che tra i grandi nomi che diedero origine al Proto-punk e successivamente al Punk tra gli anni Sessanta e Settanta troviamo comunque personalità che fecero della rottura degli stereotipi di genere una delle proprie bandiere, tra cui Lou Reed o la cantante trans Jayne County (che ad oggi si definisce come genderfluid). Diverse band Proto-punk di formazione maschile erano solite poi esibirsi “in drag”, come ad esempio i The New York Dolls, che attiravano ai propri concerti moltissimi membri della comunità LGBTQ.
Eppure, quando negli anni Settanta il genere esplose in popolarità grazie ai Ramones, l’omofobia cominciò ad insinuarsi nella cultura Punk. Emblematiche furono le parole di Legs McNeil, fondatore della rivista “Punk“, una personalità incredibilmente influente nel definire cosa potesse e non potesse essere considerato “valido” all’interno del genere: nel suo saggio sulla storia della cultura Punk, McNeil descrive il Punk come in aperta opposizione contro le identità queer, poichè riteneva che lo sdoganamento della cultura gay che si stava cominciando a vivere in quegli anni fosse troppo cool, e che ciò non doveva andare ad “inquinare” il Punk, storicamente in opposizione alle regole e a ciò che era considerato popolare. Le parole di McNeil suonano paradossali e fuori luogo, poichè quelli erano gli anni della rivolta di Stonewall e le persone omosessuali o genderqueer erano ancora incredibilmente discriminate a causa della propria identità.

Team Dresch
Trascorrono un paio di decenni durante i quali alcuni artisti continuano imperterriti a tenere alta la bandiera queer all’interno del genere: Jayne County e The New York Dolls, ai quali andarono ad aggiungersi tra gli anni Ottanta e Novanta band dichiaratamente queer come ad esempio Fifth Columns, Pansy Division, Tribe 8 e Team Dresch. Col tempo queste band ed artisti, che oltre alla musica si esprimevano anche tramite fanzine, scrittura, arte e film, vennero raggruppate sotto il termine Queercore.
Arriviamo negli anni Novanta, sulla East Coast americana. Da una costola dell’Hardcore Punk nasce un grappolo di band che decide di prendere le distanze dalla crescente “violenza musicale” degli altri gruppi del contesto Hardcore. Dato che le tematiche trattate da questo genere sembrano concentrarsi principalmente sui sentimenti, viene coniato il termine “Emotional Hardcore”, poi abbreviato in Emo. Il movimento vede diverse ondate di band, ma quella che arriva a maggiore successo è quella nata tra fine anni Novanta e primi Duemila, caratterizzata da testi basati sull’introspezione e sull’espressione di tutti i sentimenti più scomodi dell’animo umano, accompagnata da uno stile di esibizione estremamente teatrale (tanto da risultare esasperato) e da chili di make-up.
L’Emo è un genere tanto amato quanto odiato, ma che, nonostante lo stigma che vi era stato posto su, è riuscito a portare diverse band ed i loro messaggi fino al successo mainstream, conquistando schiere di adolescenti nel primo decennio degli anni 2000. Nonostante il continuo bullismo, la disinformazione e la concezione distorta che la società aveva di questo genere musicale, moltissimi giovani si aggrapparono ai testi ed all’estetica di queste band di formazione prevalentemene maschile, che rigettavano il machismo tossico ed il sessismo che si vedevano in buona parte del Punk e del Rock dell’epoca. Le band Emo andavano nuovamente a mettere apertamente in discussione identità di genere e sessualità, con musicisti che si truccavano, indossavano jeans super attillati dal taglio femminile, si smaltavano le unghie e piastravano i capelli… e poi cantavano di crisi esistenziali, di cuori infranti, di tendenze autodistruttive e si lamentavano di una società che non ti accetta se sei “diverso” da ciò che è considerato standard. Molta gente additava gli Emo utilizzando “gay” come un termine dispregiativo, eppure buona parte delle band Emo sembrava aver deciso di esibire identità di genere e sessualità non conformi come una vera e propria bandiera.
Ad esempio, c’è qualcosa di decisamente coraggioso nel prendere il termine offensivo con il quale ti chiamavano durante gli anni del liceo e scrivere “Pansy” (“checca”, “finocchio”) in grosse lettere olografiche sulla propria chitarra, specialmente quando sei solito esibirti in una serie di festival come il Vans Warped Tour, nei quali la maggior parte della scena Hardcore del tempo era inizialmente dominata da band caratterizzate da un’ipermascolinità violenta. Combinando il tutto con ombretto rosso acceso e due grosse X disegnate sugli occhi, nel 2004-2005 il chitarrista Frank Iero sembrava lanciare una provocazione, come a dire “Cosa volete fare? Uccidermi? Sono già morto.”

Fall Out Boy – 2005
Furono diverse le band classificate come Emo a prendere una ferrea posizione contro l’atteggiamento maschilista tossico ed omofobo di alcune band e di parte del pubblico dei festival Hardcore dei primi anni 2000: fecero fronte unito, con i frontman che si baciavano tra di loro davanti al pubblico o che invitavano apertamente le persone omofobe, sessite o razziste a lasciare il pit e tornarsene a casa.
Una delle band divenute famose nella scena Emo dei primi anni 2000 furono i Fall Out Boy, uno di quei rari casi in cui il frontman della band non coincide con il cantante. Nonostante la piccola statura, il bassista e frontman Pete Wentz non mancava di farsi notare con il suoi skinny jeans strappati e l’eyeliner, ribattezzato dai giornalisti “guyliner“, che finì per diventare una delle caratteristiche distintive della subcultura Emo. I Fall Out Boy hanno incluso spesso tematiche LGBTQ nelle loro canzoni, da quelle più velate a quelle più esplicite, come nella canzone “G.I.N.A.S.F.S.” del 2006, dove l’acronimo sta per “Gay Is Not A Synonym For Shitty” o nella più recente “Centuries“, dedicata all’attivista trans che diede inizio alle rivolte di Stonewall, Marsha P. Johnson.
Per quanto negli ultimi anni Pete Wentz abbia affermato di identificarsi come etero, seppur supportando la comunità LGBTQ, molti altri artisti della scena Emo ed affini si sono dichiarati apertamete LGBTQ: Geff Rickly dei Thursday è bisessuale; il chitarrista dei Promised Ring, Jason Gnewikow, è gay; Brendon Urie, frontman ed ormai unico membro dei Panic! At The Disco ha rivelato di essere pansessuale; Bert McCracken dei The Used è bisessuale; il padrino del Punk Rock e frontman dei Green Day, Billie Joe Armstrong, è dichiaratamente bisessuale fin dal 1995.

Gerard Way nel 2004
Tra le persone che invece hanno deciso di non identificarsi sotto un’etichetta specifica, ma che hanno sempre espresso un’identità di genere ed una sessualità estremamente fluide c’è Gerard Way dei My Chemical Romance, che molti probabilmente conosceranno anche come creatore della serie a fumetti “The Umbrella Academy“.
Ispirandosi ad icone del Rock che ammirava profondamente come Freddie Mercury e David Bowie, Way non ha mai avuto paura di spezzare tutti gli stereotipi di genere legati alla mascolinità (con la quale ha comunque detto di aver sempre fatto molta fatica ad identificarsi): durante gli anni di attività della sua band, il frontman continuò a fare discorsi contro la misoginia degli “shitty rock ass dudes”, ribadì più volte che i concerti dei MCR erano un luogo sicuro per i ragazzi, le ragazze e “chiunque si senta una via di mezzo” (all’epoca il termine non-binary non era ancora di uso comune), fece dei tutorial su come truccarsi, baciò più volte il suo chitarrista ritmico nel corso dei concerti e compose canzoni contenenti tematiche LGBTQ.
In diverse interviste in frontman e sceneggiatore di fumetti racconta di aver passato un periodo della sua vita in cui si identificava più come una ragazza e di aver trascorso parte degli anni in cui cui frequentò la School Of Visual Arts di New York recandovisi vestito e truccato da donna.
Fu proprio questo successo mainstream combinato con i discorsi aperti e sinceri sulle tematiche queer, che attirò moltissimi membri della comunità LGBTQ all’interno della scena Emo. E allo stesso tempo, i messaggi di persone diventate praticamente icone queer come Gerard Way o Brendon Urie portarono molte persone a comprendere la propria identità queer o a trovare il coraggio di fare coming out. Provate a fare qualche domanda ai fan di queste band ed in particolare ai fan dei MCR: scoprirete che buona parte di loro sono LGBTQ o che hanno compreso di esserlo proprio grazie ai segnali positivi lanciati dalle band stesse.
Concludendo, la subcultura Emo ha portato qualcosa di veramente nuovo al genere Punk o alla comunità LGBTQ? Non particolarmente, in realtà, ma un merito che le possiamo sicuramente attribuire è quello di aver creato nuovamente un ambiente all’interno del quale moltissimi adolescenti e giovani adulti queer hanno potuto sentirsi accolti ed accettati per ciò che sono.
“You’re not in this alone.”
La vostra Pan Pal & Aging Emo Kid
Luisa
PS: vi lascio con una playlist che contiente cazoni delle band nominate in questo articolo, in ordine cronologico. Vi basterà cliccare sull’immagine per aprire la playlist di Spotify.
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