Una porta per l’infinito
Ci sono dei libri, o anche delle canzoni, che hanno il potere di riportarti esattamente nel luogo dove le hai ascoltate per la prima volta. E non solo.
Prenditi un istante. Scegli una canzone che sai ti ricorda un posto a cui sei legato e falla partire, in modo che le note si diffondano piano nella stanza.
Oppure prendi quel libro, quello con la copertina leggermente consumata e dalle pagine piegate. Sfiora la carta con la punta delle dita e senti il ruvido contro i polpastrelli morbidi.
Ora chiudi gli occhi.
In un attimo è una calda mattina estiva.
Sono in un parco silenzioso, non lontana da un antico santuario.
Il sole si affaccia tra i rami degli alberi centenari accendendo di luce il verde delle foglie.
La zona è molto tranquilla, passano poche macchine e ancora meno persone; per arrivarci ho dovuto salire una collina e numerose scale, ma non importa, è un posto troppo bello per non fare un po’ di fatica per arrivarci.
Il grande torii di pietra corrosa dal tempo si staglia come un’arcata per un altro mondo, attraversandola passo dalla città al parco a differenza di un passo. Avanzando sulla stradina sterrata sento i sassolini sotto i piedi e vedo le statue di volpi che mi vissano vicino agli altari.
Le cicale friniscono rumorosamente, ricordandomi costantemente che siamo in pieno Agosto.
Seduta sulla panchina estraggo un libro praticamente intonso dallo zaino.
Mi sento come se vivessi lì da sempre.
Una donna anziana, curva sotto il peso degli anni, cammina lentamente verso il santuario, ignorando qualsiasi altra cosa intorno a sé. La pelle è così sottile che ricorda un foglio di carta riso con cui rivestono gli shoji, le porte scorrevoli delle case tradizionali: si possono quasi scorgere le ombre attraverso.
Comincio a leggere, e le avventure di un centenario di nome Allan mi assorbono completamente.
Si fa ora di pranzo e un impiegato con indosso un completo antracite ed una camicia bianca si ferma su una panchina non lontana. Deve avere un caldo atroce con la giacca e viene all’ombra degli alberi per cercare un po’ di refrigerio non artificiale.
Le grandi campane simili a sonagli dell’altare suonano un paio di volte, sento battere le mani, qualcuno sta pregando gli dei.
Chissà cosa desiderano, chissà cosa chiedono a queste divinità i cui santuari riposano immersi nel verde e nel silenzio, in un’isola di pace in mezzo alla metropoli.
Si alza il vento.
Le cicale si chetano.
È un istante perfetto.
Mi sdraio sulla fredda panchina di pietra, col libro poggiato sul petto. È un peso piacevole, che mi ricorda che questa è la realtà e non un sogno.
Sopra di me i rami si muovono dolcemente e, in un attimo, mi addormento.
Sono istanti, ma ogni volta che riprendo in mano “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve” mi tornano in mente subito, come se fossi di nuovo lì, il tempo e lo spazio si accorciano, come per magia.
Non solo i libri, le canzoni, ma anche i sapori e gli odori ci fanno viaggiare, ci aprono mille porte, ci rendono liberi.
Leggete, ascoltate tanta musica e soprattutto provate sempre qualcosa di nuovo, così non importa quali siano le barriere che vi vengono messe davanti, non importa in quali stanze siate rinchiusi, avrete sempre la possibilità di arrivare ovunque.
Raccontateci i vostri ricordi, i vostri luoghi e a cosa sono legati.
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