Scrubs: I’m no Superman (o forse sì?)
Le nostre passioni, spesso e volentieri, tendono a occupare una buona fetta della nostra quotidianità. Capita di leggere un giornale o guardare un TG e individuare un dettaglio che ci fa ricordare all’istante qualcosa da noi amato o detestato. Non possiamo farci niente, è un riflesso condizionato che ci impone di effettuare i collegamenti più disparati, anche nelle circostanze più insolite.
Succede con i libri, con il cinema, con i fumetti… e con le serie TV. Anni e anni di fruizione di prodotti seriali porta un vero appassionato a ricondurre fatti della vita quotidiana, notizie e vicende straordinarie a intrecci e personaggi scoperti su piccolo schermo. Così, può capitare che anche in un contesto così anomalo, faticoso e portatore di sconvolgimenti come quello che ci siamo ritrovati ad affrontare in questo 2020 sbuchi una notizia capace di innescare un collegamento mentale istantaneo con il mondo della televisione.
Proprio nei giorni in cui la pandemia provocata dal Covid-19 è arrivata anche negli USA lo sceneggiatore e regista televisivo Bill Lawrence ha usato Twitter per mandare un enorme “In Bocca al Lupo” al suo ex-compagno di college Jon Doris, ora al timone di un ospedale di Los Angeles.
Se tutto questo non vi fa scattare nessun interruttore ci permettiamo di segnalarvi che Bill Lawrence è stato il creatore della Serie TV “Scrubs” e che Jon Doris è colui al quale si ispirò per creare il personaggio di John Dorian (notate le iniziali?), interpretato da Zach Braff. Ecco che il pensiero di tutti gli appassionati, di fronte a questo messaggio, si è focalizzato su questo medico reale ma filtrandolo attraverso il volto e le stranezze del suo omologo televisivo e molti hanno iniziato a rivolgersi a lui sui social scrivendogli: “Thank you, Real J.D.”
Ci siamo ritrovati, così, a ripensare a questo prodotto così amato, andato in onda dal 2001 al 2010 prima sulla NBC e poi sulla ABC. Otto stagioni “regolari” e una “spin-off” spesso rinnegata dai fan perché ritenuta nettamente inferiore alle precedenti.
Non sappiamo se lo abbiate notato anche voi ma pare che “Scrubs” sia una serie difficile da consigliare a qualcuno che non l’avesse mai vista. Fate un tentativo e lo scoprirete subito: la sua ironia, le visioni a occhi aperti del simpatico J.D. e, soprattutto, la scelta di affrontare l’ambiente ospedaliero adottando un tono da commedia tendono a dissuadere molti spettatori neofiti. Reagiscono con sospetto, come se stessero guardando un telefilm demenziale che ridicolizza un luogo di lavoro serissimo ed è buffo se si pensa che, al contrario, molti ritengano di sentirsi maggiormente coinvolti da serial a base di medici che si accoppiano tra di loro in un vorticare di situazioni soap-operistiche che (quelle sì) banalizzano il contesto generale. Sembra che la lezione di “M*A*S*H*“, magnifica serie comica anni ‘70 ambientata in un ospedale da campo, non sia servita a togliere questo genere di dubbio ma è solo questione di abitudine. Bastano pochi episodi per fare sintonizzare anche gli spettatori più riottosi sulla giusta frequenza e, da quell’istante, “Scrubs” si rivela il miglior prodotto seriale a tema ospedaliero mai apparso su piccolo schermo.
Lo è non per l’accuratezza delle procedure mediche descritte (anche se pare che siano abbastanza coerenti con molte di quelle reali) e non lo è per la capacità di trasmettere lo stato d’animo di chi deve affrontare una simile professione in un grosso ospedale. No, questo magnifico gioiello brilla per la sua capacità di sottolineare la fallibilità di tutti noi a discapito della necessità di sentirsi sempre invincibili e il cammino di accettazione di se stessi e delle proprie doti mentre si cresce e si matura. Perché Sì, il simpatico J.D. è un medico che talvolta sembra sprovveduto e incapace di affrontare i problemi della vita ma è anche il genere di professionista che sa buttarsi anima e corpo nel lavoro che ama. Non vince sempre e non perde sempre ma si barcamena fra dolorosi inciampi e ritempranti vittorie. Le sue fantasticherie a occhi aperti lo aiutano a combattere lo stress di una professione che vive sempre e comunque come una missione, anche nei momenti più neri.
Intorno a lui si muove un cast magnifico e sfaccettato nel quale ogni personaggio sembra incarnare un lato della personalità di ognuno di noi, dall’ironia spregiudicata di Turk fino alla durezza che cela una forte determinazione del Dr. Cox, mentore di J.D. ma figura tutt’altro che risolta sul fronte emotivo.
“Scrubs” incarna l’imprevedibilità della vita di ognuno di noi, narrando giornate che partono all’insegna dell’allegria e che finiscono con un doloroso colpo di scena o viceversa. Sa raccontare la vita in corsia toccando sempre i tasti giusti e lasciando nello spettatore una costante sensazione dolce-amara.
Le avventure di J.D. e soci, in un momento nel quale guardiamo a coloro che operano negli ospedali con un rispetto forse rinnovato ma che di certo è sempre stato ben vivo, ci sembrano più vicine che mai e più necessarie che mai.
“I’m No Superman” cantava Lazlo Bane nel brano che faceva da sigla a “Scrubs” (scelto dallo stesso Zach Braff) e sentendolo ripetere così spesso dai diretti interessati in camice ospedaliero in questi giorni, siamo quasi portati a crederlo.
Quasi.
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