Signor Einstein, ci porti fuori!
Lo scorso 14 Marzo ricorreva l’anniversario di Albert Einstein, colui che potremmo tranquillamente definire lo scienziato più celebre della storia. Padre della Teoria della Relatività, Premio Nobel per la fisica, il suo nome è diventato nel linguaggio comune un sinonimo di “genio”. In questo numero della nostra rubrica vogliamo andare alla scoperta di alcuni degli aspetti più curiosi di quella che è nota come Teoria della Relatività Generale, opera summa del buon Albert.
Una delle cose meravigliose della scienza, in particolar modo della fisica, è scoprire come a volte la realtà possa superare l’immaginazione. Che ci crediate o no, Albert Einstein e Star Trek hanno più cose in comune di quanto possiate immaginare. E sapevate di un progetto fondato nientemeno che da Stephen Hawking in persona per lanciare una sonda attraverso lo spazio interstellare usando dei laser giganti? Tutto questo e altro ancora in questo numero della rubrica di Pessimi Elementi! Siete pronti per cominciare?
Di solito è la fantascienza che prende in prestito concetti e terminologie alla fisica, ma di tanto in tanto, raramente, accade il contrario. È il caso di Miguel Alcubierre, fisico teorico messicano che nel 1994 pubblicò un articolo che apriva le porte verso la propulsione a curvatura.
Sì, avete letto bene. Il viaggio a curvatura, proprio quello di Star Trek. Urge una premessa per evitarvi delusioni: si tratta di un lavoro puramente teorico, e siamo ben lungi dall’avere a disposizione un’avveniristica astronave per viaggiare tra le stelle. Tuttavia, questa idea ha destato un tale interesse da spingere la NASA a condurre alcuni esperimenti a riguardo. Ma prima di addentrarci nell’idea di Alcubierre, dobbiamo comprendere le basi della Teoria della Relatività Generale. Anzitutto: che cos’è la Relatività Generale?
Facciamo qualche passo indietro nella storia per capire come si sia evoluta la nostra comprensione della gravità. Ricordate la vicenda di Newton e la mela? Beh, probabilmente si tratta di una leggenda. In ogni caso, ad Isaac Newton va il merito per essere stato il primo ad effettuare un importantissimo salto concettuale, un autentico cambio di paradigma. Fino al ‘600 era credenza comune che la meccanica terrestre e quella celeste fossero due cose completamente distinte. In sostanza si pensava che un certo tipo di forza fosse responsabile, per esempio, della caduta dei gravi. Un altro tipo di forza ancora agiva invece sui corpi celesti, mantenendoli nelle loro orbite.
Il matematico inglese era perfettamente a conoscenza delle opere di Copernico, Galileo e Keplero, tre scienziati che un secolo prima avevano dato qualche grattacapo alla Chiesa per via delle loro affermazioni, in contrasto con il credo biblico. Mentre le Sacre Scritture prevedevano, da un punto di vista teologico, che le orbite dei pianeti e del Sole fossero cerchi perfetti, con al centro la Terra, gli studi e le osservazioni di questi tre signori dimostravano l’esatto opposto. Copernico divenne sostenitore dell’eliocentrismo, ponendo il Sole e non la Terra al centro dell’Universo (sì, all’epoca pensavano che l’intero creato coincidesse con quello che oggi definiamo “Sistema Solare”). Galileo, oltre a fondare la Meccanica in quanto branca della nascente Fisica, osservò con il suo tanto rudimentale quanto efficace binocolo che Giove presentava delle lune, satelliti naturali che gli orbitavano intorno. Ohibò, qualcosa che non girava intorno alla Terra. Keplero finì di scardinare la dottrina della Chiesa in quanto, sulla base delle osservazioni astronomiche, stabilì che le orbite dei pianeti non sono linde circonferenze perfette, ma ellissi con diverso grado di eccentricità, parametro che indica quanto l’orbita sia allungata o tendente ad un cerchio.
Con Newton ci fu un passo avanti ancora più grande. Egli intuì che la forza che fa cadere una mela a terra è la stessa che tiene in orbita la Luna attorno alla Terra, e la Terra attorno al Sole: la gravità. Formulò una straordinaria teoria, detta appunto Gravitazione Universale, che consentiva di calcolare la forza di attrazione tra due oggetti qualsiasi nel cosmo. Più questi sono massivi, più sono vicini, e più l’attrazione sarà intensa. Questo è il concetto di gravità intesa secondo la meccanica classica: una forza che si manifesta tra due oggetti separati dal vuoto. Una forza che a seconda delle condizioni iniziali di posizioni e velocità rispettive dei due oggetti, porta ad avere un certo tipo di traiettorie nello spazio, talvolta ad orbite chiuse come nel caso dei pianeti.
Arriviamo finalmente ad Einstein. Due secoli dopo, nel 1905, il fisico tedesco pubblicò la prima versione della Teoria della Relatività, detta Relatività Speciale (o Ristretta). In essa affermava due concetti tanto semplici quanto profondi: le leggi della fisica sono uguali in tutti i sistemi di riferimento inerziali (ovvero i sistemi che stanno fermi, oppure che viaggiano a velocità costante), e la velocità della luce è una grandezza costante, che non dipende dalle velocità relative degli osservatori. In questa rivoluzionaria teoria, egli unificava la fisica classica -proveniente dagli studi di Galileo sulla meccanica dei corpi – con la fisica dell’elettromagnetismo formulata da Maxwell pochi decenni prima sul comportamento delle onde elettromagnetiche.
Un po’ come Newton aveva unificato la meccanica terrestre con quella celeste, Einstein unificò le due teorie fisiche cardine della cultura scientifica dell’epoca: spazio e tempo cessarono di essere due entità distinte per formare un unico oggetto geometrico di 4 dimensioni, lo spazio-tempo. Perché dunque la teoria del 1905 viene chiamata Relatività Ristretta? Beh, perché in realtà essa lasciava fuori tutto ciò che era descritto da fenomeni non inerziali, ovvero in presenza di accelerazioni, variazioni di velocità. Gravità inclusa, naturalmente. Bisognava trovare il modo di farla rientrare nei conti.
Ci vollero altri dieci anni di durissimo lavoro per giungere alla Relatività Generale. Si narra che Einstein arrivò per primo alle sue equazioni battendo di pochissimo sul tempo il formidabile matematico David Hilbert. Un giorno, mentre era intento a passeggiare per strada, si dice che il nostro fisico baffuto vide cadere un imbianchino da una scala. Successivamente, sincerandosi con il malcapitato che stesse bene, questi esclamò che mentre cadeva aveva avuto la sensazione di essere sospeso nel vuoto. Ed ecco la lampadina accendersi nella testa di Einstein: era possibile formulare un principio di equivalenza secondo il quale un osservatore in caduta libera all’interno di un campo gravitazionale non potesse essere distinto da uno che si trovasse in una zona dell’universo senza gravità. Questa fu la base del suo lavoro. Tuttavia, includere la gravità nella Relatività Speciale richiese la scoperta di equazioni tanto complesse quanto eleganti.
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