Quando David Bowie sparò a Pieraccioni!
Quando si è trattato di radunare le idee in relazione a quella figura leggendaria di nome David Bowie e trovare un’angolatura personale da affrontare questo mese, chi vi scrive si è trovato in seria difficoltà. Perché Bowie è un artista che, ancora prima della sua scomparsa, si è trovato al centro di analisi voluminose e articolate, capaci di cogliere ogni aspetto della sua carriera e della sua vita privata. Di cosa avremmo potuto parlare senza doverci confrontare con i massimi studiosi del personaggio e senza rischiare di ribadire l’ovvio?
Poi, improvvisamente, la rivelazione: citare qualcosa che, nella sua sublime carriera, sia andato clamorosamente storto! Perché sono bravi tutti a parlare delle pietre miliari di questo artista ma è cosa meno glamour e più pericolosa affrontarne gli insuccessi o le avventure meno edificanti.
Con quella faccia meravigliosa, David Bowie non poteva non bucare anche lo schermo cinematografico e, persino quando si è trattato di fare ruoli minori o semplici comparsate, lui era comunque in grado di lasciare il segno. Basti pensare al suo Nikola Tesla di “The Prestige” (2006) o la fulminea apparizione nei panni di se stesso in “Zoolander” (2000). Ma non sempre una scelta artistica si rivela azzeccata e, nel caso che affrontiamo questo mese, possiamo gonfiare il petto di italico orgoglio perché una delle più improbabili e deliranti pellicole alle quali abbia mai partecipato il Duca Bianco è opera nostra: “Il Mio West” di Giovanni Veronesi (1998).
Che autore eclettico, il buon Veronesi. Cresciuto sotto l’occhio vigile di Francesco Nuti, ha rappresentato per anni il co-sceneggiatore ideale per i film diretti e interpretati da molti comici nostrani. Dal sopracitato Nuti passando per Leonardo Pieraccioni, Massimo Ceccherini e anche Carlo Verdone; Veronesi è stato il co-autore ideale, capace di conferire una ossatura forse fragile ma ben presente alle pellicole di questi personaggi senza tramutarle in una sequela slegata di gag. Come regista, invece, ha affrontato la carriera con una irruenza e una incapacità cronica di adagiarsi sugli allori che ha del prodigioso. Pochi altri autori contemporanei sono passati da un film sulla Natività vista dagli occhi di Giuseppe (“Per Amore Solo per Amore”) a una commedia interpretata da due gemelli all’interno di un utero materno (“Silenzio… si Nasce!”) Tra i suoi esperimenti più controversi ci fu anche quello di sfruttare la popolarità di Leonardo Pieraccioni per cucirgli addosso un vero film western girato in Garfagnana, a pochi passi da Lucca.
Come fece Veronesi ad accalappiare Bowie? Con una serie infinita di fax, pare, e con uno stratagemma: “Conoscevo, amandolo, un piccolo segreto: sapevo che nello scegliere i film privilegia quelli con un certo destino riservato al suo personaggio. Un po di furbizia mi ha aiutato” ricordò lo stesso regista all’epoca dell’uscita del film. Pare che David, giunto sul set, si fosse limitato a dire: “Sei tu il pazzo, fai pure” per poi dedicarsi alle riprese (e adottando per il suo personaggio un accento dell’Oklahoma davvero credibile, peraltro). Probabilmente si era reso conto di avere commesso un errore perché si comportò in maniera molto scostante per tutto il tempo della lavorazione e lo stesso Veronesi ha recentemente narrato di avere imparato a imitare l’autografo di Bowie pur di consegnare ai fan che raggiungevano faticosamente il set un disco personalizzato (ma in realtà no!) dal loro idolo musicale.
Il film uscì in occasione del Natale del 1998 e fu un disastro, incassando meno della metà del budget di 10 miliardi di lire. Riuscì a racimolare di più grazie a una provvidenziale distribuzione internazionale con il titolo di “The Gunslinger’s Revenge” ma rimane uno dei peggiori disastri made in Cecchi Gori degli anni ‘90. Non ci si poteva aspettare molto da un western in cui Pieraccioni fa se stesso con tanto di accento toscano, in cui il ritmo è blando, gli attori sembrano letteralmente non ascoltarsi mai e la promozione è stata tutta affidata al comico toscano, attirando così in sala il suo pubblico… ovvero, quello sbagliato per un film simile.
E Bowie? Lui resta il grande punto interrogativo di questo film. Cosa mai possa avere visto in un progetto simile è un insondabile mistero. Di certo, “Il Mio West” è la rappresentazione più veritiera di quanto la sperimentazione, l’amalgama di stili e la contaminazione spericolata non siano alla portata di tutti. Quella magia creativa che, in mano a geni come David Bowie, sembrava facilmente raggiungibile può rivelarsi un pericoloso boomerang se maneggiata senza la giusta dose di talento e, a quel punto, nemmeno coinvolgere un vero artista può fare nulla per salvare la situazione. Anzi, il rischio è quello di trascinare sul fondo anche lui!
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