All’ombra della luna-Cyrano Day
Nel silenzioso buio di una piccola stanza, seduto su uno sgabello di legno che ha vissuto giorni migliori, c’è un uomo che maledice se stesso.
E’ ben vestito, quell’uomo: Ha una lucida ed impeccabile divisa da cadetto con tanto di lustrini e spada al fianco. Gli stivali sono stati ripuliti da ogni singola macchia, così come i suoi guanti bianchi come il latte. I capelli radi sono pettinati con cura e sul viso svetta orgogliosa un bel pizzetto cespuglioso. Ma nonostante il bel vestito e la cura minuziosa del suo aspetto, quell’uomo maledice se stesso.
Ha una bella famiglia, quell’uomo: una splendida moglie che di mestiere fa la poetessa e due bei bambini che amano infinitamente il loro papà. Vivono in una modesta casa nel centro di una delle città più belle, romantiche e influenti del mondo intero: Parigi. Inoltre, l’uomo è abbastanza famoso nella capitale francese, perché di professione fa il drammaturgo. Gli piace scrivere le sue opere in versi, con un tocco romantico e nostalgico senza lesinare sulla drammaticità, se serve. Il popolo lo apprezza, i critici un po meno. Ma nonostante non navighi nel denaro, la sua arte gli dona un certo prestigio e gli permette di sfamare al meglio i suoi figli.
Ma nonostante la bella famiglia, il lavoro redditizio e la sua sconfinata arte, l’uomo è seduto su uno sgabello col capo chino a maledire se stesso, nel buio di un camerino. Mentre fuori da quella stanza il mondo continua a girare. Un mondo fatto di attori e attrezzisti, comparse e costumisti, che si preparano e si sistemano, prima che un drappo rosso sangue si alzi a creare una finestra su un altro mondo, quello reale.
Sì perché il timoroso drammaturgo ha scritto una nuova commedia: gliel’ha commissionata un caro amico attore e grande stimatore della sua arte, che nell’ambiente teatrale viene soprannominato l’Ainé, il “primogenito”, per differenziarlo da suo fratello minore, anche lui grande attore teatrale. Ha fatto tutto di fretta, il drammaturgo, scrivendo e mettendo in scena la commedia in poco tempo, quasi un mese. E’ strano, questo spettacolo: un po’ poema cavalleresco, un po’ dramma Shakespeariano, con qualche momento goliardico e anche bellicoso, ricco di duelli. Il tutto avvolto in una calda e sentita storia d’amore. Uno spettacolo che ha una sola direzione, ma con mille sfaccettature. Tutte rappresentate dal suo protagonista: un coraggioso spadaccino di Guascogna, poeta e filosofo, scrittore e pensatore, che ha come particolarità un grosso e deforme naso che gli provoca vergogna e lo spinge a negarsi l’amore per la sua bella cugina tanto desiderata, favorendone invece il fidanzamento con l’amico, più bello ma di minor intelletto, aiutandolo ad esprimersi con grazia e incanto e suggerendo le parole da dire alla sua amata.
Il clima non è dei migliori: alle prove la tensione era palpabile e tra gli attori serpeggiava il malcontento. I soldi scarseggiavano sempre di più e il drammaturgo è arrivato anche ad attingere ai fondi paterni per poter tamponare i problemi economici, ed ora rischia di finire sul lastrico se lo spettacolo non andrà a buon fine. A nulla valgono le rassicurazioni dell’amata moglie, quell’uomo pensa che questo spettacolo sarà un fiasco e che la sua carriera sarà irrimediabilmente rovinata. Poco prima di sedersi lì, nell’angolo più buio del suo camerino, si è addirittura gettato ai piedi del suo amico attore, che darà corpo e anima al protagonista della sua commedia, e in lacrime ha urlato “Perdono, amico mio, Se ti ho trascinato in questa disastrosa avventura!”
Ecco perché l’uomo si maledice nel buio del suo terrore, tremando come una foglia e addossandosi colpe su colpe. Ha rischiato tutto per questo, per raccontare la storia di quel coraggioso poeta spadaccino dal naso deforme che combatte le viltà con la forza della verità e dell’amore. Soldi, rispetto e futuro, tutto per poter rappresentare quella storia che tanto ama e nella quale ha riversato la sua intera essenza. Tutto per niente.
Una luce pallida si fa largo nel buio, decisa e tagliente come un colpo di spada. Dalla finestra, un’amica del drammaturgo fa capolino salutandolo con eleganza e portamento. L’uomo si alza dal suo buio e immerge la testa in quella luce, volgendo lo sguardo verso colei che è giunta a porgere i suoi omaggi: la Luna sorride candida verso il suo amato drammaturgo, che sente il peso di un fallimento che esiste solo nella sua testa. Lo ringrazia per i suoi versi appassionati e per lo smisurato amore che lo scrittore ha dimostrato verso di lei attraverso la commedia scritta in sua onore. Gli dice che andrà tutto bene, che nel buio nulla è definito fino a quando una luce non giunge a donar forma e sostanza ai nostri sogni. La sua luce è arrivata e illumina il suo animo affranto, che si rinfranca e conosce il sollievo. Prima di andare, la Luna le mostra il suo naso, grosso e deforme, con un sorriso ad abbellirlo.
Un boato di applausi esplode dalla platea gremita del Théatre de la Porte-Sain-Martin di Parigi. “Non è possibile che sia già finito lo spettacolo!”, pensa il drammaturgo. Ed infatti è solo la fine del primo atto. Ma il pubblico già applaude come impazzito, inebriato dalla bellezza di ciò che ha appena visto e inneggiando con un’euforia che grida alla festa e al riscatto. Un solo nome si ode nella platea. “ROSTAND!!! ROSTAND!!!”
La porta del camerino si apre: il caro amico attore, Benoit-Constant Coquelin, detto l’Ainé, appare sull’uscio con ancora il vestito di scena indosso, e sotto il lungo e grosso naso fatto di dialichion, fa capolino un sorriso d’enorme felicità e soddisfazione. “Edmond, è un successo!”
Edmond Rostand, poeta e drammaturgo marsigliese di ventinove anni, guarda colui che interpreterà il suo amato poeta spadaccino per ben quattrocento volte con gli occhi colmi di commozione, ascoltando il boato assordante che non accenna a fermarsi. Edmond ancora non sa che quello è solo l’inizio: non sa che da lì a due ore il presidente del consiglio francese gli consegnerà la Legion d’onore, massima onorificenza francese, strappandosela dalla giacca; Non sa che il pubblico alla fine della commedia chiamerà gli attori per l’ovazione ben quaranta volte e che fino alle due del mattino la gente non penserà minimamente di andarsene o smettere di inneggiare al regista continuando ad applaudire in maniera forsennata; Non sa che il suo spettacolo farà il “tutto esaurito” per ben quindici mesi, incassando una somma pari a due milioni e cinquecentomila franchi; non sa che il suo splendido personaggio, ispirato da un vero poeta e scrittore francese definito da tutti il precursore della letteratura fantascientifica, diventerà un simbolo mondiale del teatro e della letteratura francese, al pari di Jean Valjean e D’Artagnan.
Non lo sa ancora.
L’unica cosa che Edmond sa è che il suo spettacolo, il suo Cyrano De Bergerac, è amato dalla gente, quella comune, che vede nel teatro un’ancora di salvezza e di riscatto personale. Ora, la luce della luna ha mostrato la forma della sua bellezza, dissipando le tenebre nel suo animo afflitto. In quella luce, lui vede la bella Rossana, il giovane Cristiano, il savio Le Bret, l’arrogante Le Guiche…e dietro di loro, nascosto ma sempre visibile grazie al suo enorme pennacchio, l’impavido e romantico Cyrano Savinien Hercule De Bergerac. Tutti lì, ad applaudirlo con gli occhi inumiditi di lacrime, come i suoi.
Nell’impeto della felicità, afferra un foglio e scrive una frase, l’appende sopra lo specchio del suo camerino, prima di tornare al suo posto, dietro le quinte di quel bel teatro parigino, al fianco dei suoi attori…
“Oggi sarà il più bel giorno dell’anno.”
Era il 28 Dicembre del 1897.
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