Krampus di Natale
In un periodo di gioia, gaudio, tripudio e canzoncine, non poteva mancare il mio articolo su quanto io odi il Natale.
Attenzione, esistono tanti motivi per detestarlo e sebbene li reputi numerosi, oggettivi e inconfutabili, lungi da me imporre la mia visione e affermare “il Natale fa schifo” in senso assoluto; si tratta di un’analisi personale di come mai questa festività non mi susciti simpatia, diciamo.
Da dove partire? Anzitutto le suddette canzoncine e la sopracitata gioia sarebbero già un movente perfetto. Perché se da una parte non se ne può più dei soliti Bublé allegrotti, dall’altra, la felicità che dovrebbe propagarsi anche con la complicità dei Jingle Bells, diventa implacabilmente fittizia e forzata. E poi, perché le playlist dei negozi sono tutte identiche e non contengono mai più delle stesse dieci canzoni in loop?
In mezzo a tutti sorrisoni a 32 denti e melodie piene di campanacci (no ma davvero, come le sopportate le campane?), anche solo fare la spesa diventa un incubo. Se per caso hai finito il bagnoschiuma, devi imparare a destreggiarti tra le corsie invase da anziane signore in cerca dell’ennesimo set shampoodocciasaponedeodorante da regalare alle nuore, le quali a loro volta vagheranno disperate in cerca della medesima profumata vendetta.
Ogni negozio risulta invaso da denti, falsa cortesia e tanta frustrazione perché diciamoci la verità, di base c’è una domanda che ci assilla: “Starò regalando troppo o troppo poco?”
A tutto questo, aggiungiamo code infinite scandite al ritmo di nastro adesivo e strappi di carta. Già. Perché i regali vanno incartati, e cosa c’è di più inutile e dannoso della carta da regalo?Quanta carta buttiamo solo per aver la soddisfazione di strappare qualcosa? Pensiamo mai a quanto sprechiamo così facendo? Io sì, e ho iniziato per esempio a regalare cose dentro shopper di stoffa o sacchettoni riutilizzabili, e non sono certo Greta Thunberg.
A proposito di sprechi, gli alberi non sono l’unica vittima sacrificale dei nostri banchetti natalizi; cene, cenoni, cenini, portano a un incremento notevole anche di quanto viene gettato in termini di cibo. Più nei ristoranti che a casa, naturalmente, con una tendenza all’ingrasso che al termine spedisce tutti in palestra pieni di sensi di colpa, buoni propositi e cotechini. Ma è necessario tutto questo? A quanto pare sì, perché un altro elemento detestabile dettato dalla pressione sociale natalizia, è l’obbligo di queste cene, e devi dire di sì a tutti per non offendere nessuno, e quando il tuo stomaco esploderà, qualcuno si offenderà comunque.
Così, cena dopo cena, regalo dopo regalo, si arriva al terribile giorno, fermandoci un istante prima a riflettere: quando è iniziato tutto questo? La prima cena di Natale perché “poi chissà quando ci vediamo” quando è stata? Quando avete visto il primo Babbo Natale impiccato fuori da un balcone? Quando avete sentito il brivido di un White Christmas scorrervi dalle orecchie fin dentro il midollo per la prima volta? Era dicembre? Inizio mese? O addirittura novembre…? Perché in questa esplosione gioiosa di consumismo, c’è quasi da ringraziare che il paletto di Halloween impedisca all’incalzante festività di retrocedere fino a chissà dove.
Siamo al 25 dicembre, e se ci pensate, la festa è diventata ancora più pesante con la tecnologia recente; prima per sentire frasi fatte e irritanti mi bastava andare in chiesa, adesso se apri la chat di Whatsapp sarai invaso di immaginette sacre o pagane ma ugualmente monotematiche trite e ritrite. Così si dà il via al fatidico pranzo di natale, dove dovrai spiegare a tua zia per la decima volta che lavoro fai e che no, non mi sto per sposare, e i nipotini li vedrai da qualcun altro eccetera. E in apnea saltiamo alla fine, più o meno stremati da prove fisiche e mentali.
Ultimamente mi sento meno sola devo dire, in questo mio disagio, tanto che probabilmente ci saranno i soliti “odi il natale perché è di moda”. Ma io come sempre risponderò che odiavo il natale prima che fosse mainstream.
Ci sono tante cose che lo rendono antipatico, ma per lo più, come tutte le cose antipatiche, è per l’uso che se ne fa. O se vogliamo dirla meglio, la sua strumentalizzazione e il perbenismo di cui tutti si tingono. Il passo dall’essere tutti più buoni al buonismo è lo scivolone classico e ipocrita che in assoluto tollero meno. Quella falsità che si cela dietro tutti i vari “chiamiamo sconosciuti per gli auguri”, “compriamo regali ai colleghi che non posso sopportare tutto l’anno”, “uniamoci nella convenzione sociale di abbracciarci e augurarci il meglio” è qualcosa che detesto e ripudio perché non è seguita da nulla. Se siamo “più buoni”, perché non lo facciamo davvero? Voglio tapparmi il naso e fare un regalo con tanto di bigliettino e abbraccino a un collega? Ok, però perché il giorno dopo sono di nuovo lì a fare commenti sul suo modo di fare o di vestire o altro?
Allora, se vogliamo essere conformi a questa festa che volenti o nolenti fa parte della nostra cultura e della nostra realtà, se vogliamo rispondere a quei canoni civili che ci impongono di comportarci meglio e più premurosamente verso il prossimo, ecco, cerchiamo di farlo davvero. E non sarò io a dirvi come, perché in cuor vostro, sapete benissimo come essere “più buoni”, solo che non sempre conviene.
Oppure in alternativa, aspetto sempre un bel krampus.
Buon Natale!
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