Il terribile inverno di Max Payne
Max Payne è un videogioco d’azione in terza persona ambientato in una buia, innevata e sanguinosa New York City. Vestiremo i panni di Max Payne, un poliziotto che ha visto la sua famiglia morire per mano della malavita organizzata. Max collabora con un agente della DEA (Drug Enforcement Administration) per fermare il racket di una nuova sostanza stupefacente: la Valchiria, una droga che causa effetti allucinogeni e aggressivi dopo l’assunzione. Dopo la morte del suo collaboratore, però, Max verrà accusato del suo omicidio, divenendo il ricercato numero uno della città. La sua sete di vendetta sarà quindi ostacolata dalla resistenza della malavita e anche dall’intrusione della polizia.
Il videogioco è sviluppato da Remedy Entertainment e sceneggiato da Sam Lake. Il prodotto finale è un intreccio noir e hard boiled che affonda le proprie radici nella cultura norrena e, soprattutto, nella filmografia di fine anni ’90.
Sono chiari i rimandi al mito del Ragnarock, più nello specifico alla sua “prima fase”, ovvero quella del Fimbulvetr. Si tratta infatti di uno dei “segnali” che annunciano la fine del mondo e si manifesta in un terribile inverno nel quale le leggi e i legami sociali si destabilizzano, lasciando dietro soltanto sangue e violenza. A sostenere questa narrativa fatta di cultisti, malavita e violenza è presente un gameplay ambizioso e fortemente influenzato dal medium cinematografico. Tale imprinting si manifesta attraverso una particolare meccanica del gioco: il bullet time.
Il bullet time è un effetto speciale tipico dei film d’azione, che consiste in un grande uso delle armi da fuoco al rallentatore. Un chiaro esempio è rappresentato da Matrix o dai film d’azione di John Woo, tra cui figura anche il film Hard Boiled del 1992. All’interno del gioco è infatti possibile rallentare il tempo e lanciarsi mentre si spara contro i “cattivoni”, creando scene esteticamente gradevoli e adrenaliniche.
Questo è solamente uno dei metodi con cui si è tentato di rendere l’esperienza del videogioco “più cinematografica”. A quest’ultimo si aggiungono infatti i cosiddetti Quick Time Event, ovvero delle fasi in cui scorre una sequenza filmata e i giocatori devono premere solamente i tasti che compaiono sullo schermo per poter far continuare l’azione. Un altro metodo è rappresentato banalmente da lunghe sequenze filmate che lasciano però poco spazio di sviluppo al gameplay. Questo succede in videogiochi come Quantum Break, sempre sviluppato da Remedy. Altri impieghi di queste sequenze, invece, non tolgono spazio al gameplay, ma allungano di molto il tempo di gioco. In questo caso il titolo risulta molto corposo, come ad esempio Death Stranding di Hideo Kojima.
La storia di Max Payne è stata adattata al grande schermo in un film con Mark Wahlberg e Mila Kunis, senza tuttavia riscuotere grande successo. Ciò che salta all’occhio vedendo altri tentativi di adattamento cinematografico come Tomb Raider e Mortal Kombat è che il cinema riesce con successo ad influenzare il videogioco, ma non il contrario. Forse uno dei pochi esempi virtuosi è Hardcore!, film del 2015 realizzato interamente con telecamera in soggettiva molto simile a quella dei videogiochi sparatutto in prima persona.
Nonostante quasi vent’anni di età (che per un videogioco sono molti), Max Payne è ancora un titolo facilmente giocabile nel 2019. Si può dire che è invecchiato bene e che, nonostante qualche ruga sul comparto grafico, si sente la vitalità del suo carattere. Rappresenta un frammento di cultura videoludica indispensabile per gli appassionati e consigliabile a chi vuole approcciarsi all’argomento videogiochi.
Articolo di Damiano D’Agostino
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.