La morte di Fantàsia
Sull’argomento circolavano insistenti voci di corridoio da tempo. Un po’ avevo fatto finta di non sentirle, un po’ ci avevo riflettuto per poi liquidarle. In fin dei conti erano solo chiacchiere. Voci, appunto. Qualche giorno fa, però, mi sono trovato di fronte all’incontrovertibile verità dei fatti. Me ne è stata data notizia con una tale naturalezza e con tanta convinzione che davvero ho pensato di essere l’unico ancora all’oscuro. Niente da fare, signore e signori. Le voci di corridoio sono state confermate.
Il Fantasy è morto. Ne danno il triste annuncio il valido scrittore di un genere che nulla ha a che spartire col fantasy e la convinta relatrice della presentazione della sua ultima fatica letteraria. È andata così. Mi trovavo a zonzo in una libreria. A un certo punto noto un discreto assembramento di sedie e un tavolo con dei libri sopra. Dall’altro lato del tavolo, uno scrittore che conosco e apprezzo. Perciò mi dico: sentiamo un po’. La presentazione è ricca e ben condotta, non mancano momenti goliardici che strappano diverse risate, ma il velo funereo della nefasta notizia è subito in agguato allorché, sempre tra il serio e il faceto, si inizia a discorrere del difficile mercato editoriale italiano. L’autore riconosce la fortuna di scrivere di un genere sempre piuttosto saldo nelle vendite, ma specifica che si tratta, appunto, di fortuna, perché quello è il genere che lui ama e del quale sente il bisogno di scrivere.
«Se la mia vocazione fosse stata rivolta ad altri generi letterari… Che ne so… A un genere morto come il fantasy, allora…»
Scossa. Un fremito talmente potente che mi perdo la fine della frase. Le mie sinapsi tornano attive appena in tempo per sentire le ultime note della risata della relatrice.
«Purtroppo è vero», sorride divertita. «Gnomi, maghi e principesse hanno fatto il loro tempo, ma…»
Altra scossa.
Quando riprendo i sensi, stavolta, scopro di essermi alzato e allontanato. Ho sentito prepotente l’impulso di andare a cercare un libro di gnomi, maghi e principesse. Giro tra gli scaffali perso in rimugini astiosi, finché un applauso annuncia la fine della presentazione. La voce della relatrice, invece, annuncia il buffet. Dovete capire che sono pur sempre un attore. In questi momenti, il primo pensiero è «Si mangia!» Quindi vado. Anche per scambiare due chiacchiere, se ci riesco, con l’autore. Mi sento un po’ Atreyu che marcia per salvare Fantàsia dal Nulla che la sta cancellando. Solo che invece dell’Auryn impugno uno spritz, e invece della Torre d’Avorio mi avvicino a una pila di tramezzini. Ci conosciamo sommariamente, ci scambiamo qualche convenevole, e alla fine parto in una discreta carica:
«Senti, ma…» sembrano scalpitare gli zoccoli di Artax mentre lo sprono in avanti senza dare nell’occhio. «… ma questa cosa che il fantasy è morto, no? Tu dici che…»
«Eh, lo sapevo che ti avrebbe punto sul vivo», sorride bonariamente lui, parando il primo affondo.
«Ma sì. Per carità, le favole son quasi sempre belle da leggere, ma guardiamo in faccia la realtà: come puoi raccontare storie così anacronistiche in un mondo complesso come il nostro? Con tutta la scala di grigi nella quale ci troviamo a vivere, come puoi riportare il tutto al trito e ritrito confronto bene / male? Pensi che sia intellettualmente onesto? No che non lo è, tant’è vero che il 90% della letteratura fantasy è solo una scopiazzatura superficiale di Tolkien, un riproporre in modo sistematico, mi vien da dire “meccanico”, le solite dinamiche già lette mille volte. Una scrittura rubata da altri autori per raccontare tematiche rubate ad altri tempi».
Urca. Questa è molto bella, quasi quasi gliela rubo. Sono spiazzato. Questo ha i dati esatti, i numeri! Il 90%? Wow… È effettivamente un bel po’. La prima cosa a venirmi in mente è che già quando scriveva Tolkien, l’accusa più frequente che gli veniva mossa era che le sue opere fossero anacronistiche, inadatte a tempi complessi come i suoi. Glielo dico, certo di sferrare un colpo micidiale, ma il suo scudo di logica è adamantino.
«Appunto», para. «Se erano complessi i tempi di Tolkien, figuriamoci i nostri».
«Ma non credi che valga un po’ per tutti i tempi? In fin dei conti, Tolkien non è stato il primo e neanche il secondo… e neanche il decimo a scrivere racconti e romanzi fantastici».
«Continui a darmi ragione, vedi?», carica il colpo. «Erano tematiche anacronistiche anche agli albori del genere, ma se non altro, all’epoca avevano il non trascurabile pregio della novità».
Sbrang! Il mio scudo scricchiola. Rannicchiato dietro la sua barriera, comincio a meditare l’abbandono della mia trilogia “Mondo in Fiamme”. Lui guadagna terreno:
«Ai lettori si deve parlare con onestà. E cercare di dar loro a intendere che il mondo è solo una giostra manichea di bene contro male non è onesto. Questo credo io».
Sbrabrang!!! La mazzata è poderosa, ma nel vibrarla, ha scoperto un fianco.
«Ma il fantasy non è “bene contro male”», butto là io. Falcio un fendente quasi alla cieca, ma lui retrocede di un passo.
«Bèh, dai», alza lo scudo. «Sauron e Gandalf… Voldemort e Harry Potter… Il Signore degli Inganni e Allanon…»
«Elric di Melniboné» il nome sulle mie labbra diventa come un grido di battaglia. «Conan il barbaro. Tito di Gormenghast. Monza Murcatto. Tyrion Lannister» scudiscio senza sosta. «Non sono proprio i tipici “buoni”, dai».
E qui la scivolata: «Vabbè, che c’entra?»
Artax si impenna fieramente.
«Come “che c’entra”?», nitrisce furioso. «Mi dici che il fantasy è solo “bene contro male” e io ti ho risposto con pochi, superficiali esempi al limite del peggior mainstream per dimostrarti che non è così».
«Ma ti rendi conto di cosa parli?» si scalda. Mi sorprende ma mi conforta anche un po’. «Mi parli di nani, elfi, principi e barbari. Oggi! Nel 2019! Perché la gente dovrebbe voler leggere questa roba?»
Abbasso la spada per prendere fiato.
«Già… Perché?», gli chiedo.
«E io che ne so? Per evadere dalla realtà?»
«Giusto», concedo. «E perché invece dovrebbe voler leggere quello che scrivi tu?» chiedo serafico.
Dall’occhiata prima della risposta, capisco che quel conoscente difficilmente diventerà mio amico.
«I miei romanzi sono ambientati nel mondo reale».
«Ma sono storie inventate»
«Ma che c’entra?», ripete, stavolta con più impeto. «Sono storie nelle quali un lettore può riconoscersi, tematiche che appartengono al nostro tempo».
È una bella serata. Voglio solo parlare, non litigare.
«Guarda che a me i tuoi romanzi piacciono, davvero», lo rassicuro. «I temi che affronti, i personaggi e le storie attraverso i quali li tratti, mi piacciono un sacco. Forse non ho mai avuto modo di dirtelo a quattr’occhi, ma è così! Mi piacciono».
La tesi è suffragata dal fatto che ho sotto il braccio il suo ultimo libro, fresco di acquisto e in attesa di una dedica.
«Ma non capisco cosa ci sia di anacronistico nello scrivere di coraggio, onore, amore contrastato, lotta per il potere, bugie, desiderio di autoaffermazione, tradimento… Qual è la differenza tra il raccontare di queste cose attraverso le vicende di un maresciallo dei Carabinieri che indaga sulla morte della sua nipotina, o attraverso la storia di un liceale che dopo la maturità va a fare il volontario nello Yemen, o tramite il viaggio di un cavaliere rinnegato dal proprio re che si imbatte in una ricerca pericolosa attraverso terre inesplorate?»
Lui scuote la testa.
«Vabbe’, dai, non ci capiamo».
«No, mi sembra evidente».
«Infatti».
«Me la fai lo stesso una dedica?»
Sorride. Oh! Meno male!
«Ma certo!»
Nella dedica accenna bonariamente sardonico a “i miei folletti”. In battaglie come quella appena sostenuta, non potrei desiderare scudieri migliori di quei folletti. Il punto è questo: stavolta, secondo me, le voci di corridoio vanno diffondendo una notizia falsa. Come ho detto, anche a Tolkien recriminavano che le sue opere fossero anacronistiche e colpevolmente fuori dalla realtà. Gli chiedevano come mai lui, nel XX Secolo, scrivesse di elfi, re, stregoni, cavalieri e foreste incantate. La risposta del Professore è forse la frase che più amo citare:
«Perché scrivere di lampadine quando posso scrivere del fulmine?»
C’è stato e sempre ci sarà un sacco di brutto fantasy (come ci sono un sacco di brutti romanzi di viaggio, di brutti gialli, brutti romanzi d’amore, brutti romanzi storici, brutti saggi…), ma fintantoché ci saranno fulmini di cui scrivere, il fantasy non morirà.
Bell’articolo, detto da una che, tra le altre cose scrive proprio quel fantasy moribondo.
Grazie.
È giusto,le favole , i sogni non possono e non devono morire mai,e poi se ci parlano del.bene e del male e del’animo umano,finché esiste l’umanità devono rappresentarla attraverso la fantasia ,per aiutarci ad accettare la realtà ,,A!
Un ottimo aneddoto!
Mi sembra di capire che lo scrittore della storia si occupi di polizieschi: non potremmo dire che anche in quel genere, avremmo potuto vedere ogni variante possibile?
l’assassino è: la madre, lo zio, il vicino, uno sconosciuto per motivi validi solo nella sua mente…
Il succo è perché comperi un romanzo? Se vuoi leggere storie “vere” puoi prendere i quotidiani!