Lady Viova

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Elefanti variopinti e gamberi bizzarri

È mai arrivato, nella vostra vita, un momento in cui siete stati voi i diversi, gli strani o gli stranieri?
Oggi vi racconto due storie: sono storie per bambini, storie che magari avete voi stessi raccontato a qualche cuginetto o che avete sentito raccontare durante la vostra infanzia.

In un branco di elefanti (quelli che tutti conosciamo, grigi, grossi e di gran cuore), vive in armonia un elefante variopinto: si chiama Elmer. Elmer è fortunato perché tutti gli vogliono bene: tutti scherzano, quando c’è lui, e c’è sempre aria di festa. Ma una notte, in preda ai pensieri, si chiede d’improvviso: “Non si è mai visto un elefante multicolore, è per questo che ridono di me?” E sconsolato, mentre tutti dormono, si allontana.
Elmer non è discriminato, non è vittima di bullismo da parte di elefanti più grossi, più grigi e più aggressivi. Ma tutti, anche i più fortunati, si sono sentiti, almeno una volta, i diversi: e hanno avuto paura per quella diversità, non si sono sentiti compresi e forse si sono sentiti soli.
Per questo racconto la storia di Elmer, che è un po’ la storia di tutti quelli che a un certo punto si sono messi in cerca della propria identità, confusi sul significato di una parola così fragile e così importante, timorosi di ciò che il resto del mondo potesse pensare.
L’elefante variopinto trova delle bacche grigie, e, EUREKA!, tutto contento si colora, maschera la propria diversità, la nasconde, e torna di soppiatto dal resto degli altri elefanti, ormai irriconoscibile.
E in effetti, quando tutti si svegliano, nessuno è in grado di riconoscere Elmer, che si mimetizza alla perfezione tra di loro, come un qualsiasi elefante. Ma dopo un po’, “Elmer si accorse che c’era qualcosa che non andava…”: gli elefanti non sono mai stati così seri, così fermi e spenti come ora. Elmer non ce la fa più, e ancora tutto grigio, alza la proboscide e grida: BUM!
Tutti capitombolano su e giù, colti di sorpresa, e cominciano a ridere. Ma soprattutto, incominciano a dire: “Elmer, questo dev’essere Elmer.”
Questa è la più bella dichiarazione d’amicizia che esista: è un riconoscimento vero, che va oltre la pelle e l’esteriorità. Elmer è Elmer, sia quando è variopinto, sia quando si tinge di grigio. E le persone – ops, gli elefanti – che lo conoscono davvero, lo possono ri-conoscere anche quando è camuffato. Un po’ come dire che la verità di ciò che siamo risiede dentro, nel profondo, e non certo in ciò che si vede da fuori. La storiella finisce in allegria, con una festa chiamata “Il giorno di Elmer” in cui tutti gli elefanti si tingono dei colori più buffi ed Elmer si tinge di grigio.
Nelle avventure successive di Elmer, il discorso poi si approfondisce, sempre in modo leggero e divertente. A dimostrare che la diversità è sempre relativa, Elmer conosce un’elefantina rosa che, cresciuta in un branco di elefanti tutti rosa, a veder gli elefanti grigi pensa “Che strani!”.

“Io credevo fosse diversa; lei, invece, pensava che quello diverso fosse l’elefante grigio.”

Ma anche tra gli elefanti tutti grigi, la diversità non manca: “Siamo tutti diversi” e contemporaneamente “Non occorre essere diversi per essere speciali.” Così come il concetto di identità, anche quello di diversità contiene in sé centinaia di sfumature (è variopinto, come il nostro Elmer): la diversità esiste in ognuno di noi, ma è una diversità che si cela anche dietro ad apparenze uguali. Essere speciali riguarda la profondità, riguarda, ancora una volta, ciò che c’è dentro, riguarda la storia di ognuno di noi, che non è mai uguale a quella degli altri. Infine, anche quando hai imparato a conoscere le piccole diversità che esistono tra gli animali che conosci, arriva sempre qualcuno di strano, di nuovo: come accade quando Tigre incontra un canguro.

“Qui in giro c’è uno straniero che si comporta stranamente”.
“Gli stranieri si comportano spesso in modo strano. È per questo che sono stranieri.” Commenta Elmer.

È solo un comportamento, qualcosa a cui non siamo abituati e che non conosciamo, niente di più. Dopo una giornata passata tra canguri salterini, Leone ammette “Che strano… Ho avuto la sensazione che fossimo noi… ahhh… gli…” “Stranieri” termina la Tigre. E adesso, dicono insieme, siamo tutti amici.
Siamo sempre stranieri agli occhi di qualcuno.

Ma a volte può succedere che, le differenze, siano più laceranti di così. Che il mondo attorno a noi sia più pesante, che essere soli non sia solo un timore o una sensazione. È la storia del giovane gambero di Gianni Rodari. Un giovane gambero che vuole imparare a camminare in avanti, che “cominciò ad esercitarsi di nascosto” con molta fatica e che solo quando divenne sicuro di sé (e quanto è difficile diventarlo?) decide di rivelarsi alla famiglia.

Figlio mio, – scoppiò a piangere la madre, – ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, cammina come tuo padre e tua madre ti hanno insegnato, cammina come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene
I suoi fratelli però non facevano che sghignazzare.
Il padre lo stette a guardare severamente per un pezzo, poi disse: – Basta così. Se vuoi restare con noi, cammina come gli altri gamberi. Se vuoi fare di testa tua, il ruscello è grande: vattene e non tornare più indietro.

Quando sei diverso, a volte, ti chiamano pazzo. Poi, ridono di te. Proprio quelli che tu amavi di più. E infine, la loro casa non è più la tua, d’improvviso: non vale il tempo che avete passato insieme, la vostra storia in comune, non vale il legame di sangue, non vale l’amicizia. Nulla. Quella, non è più la tua casa. Il giovane gambero, per fortuna, si avvia per il mondo con un sorriso sul volto (sul volto da gambero, si intende). Il giovane gambero incontra animali che sono più spessi di muri massicci, ma prosegue dritto (ha imparato così bene a farlo!) e un certo punto, incontra davvero un altro come lui, qualcuno che finalmente può capirlo.

– Cosa credi di fare? Anch’io, quando ero giovane, pensavo di insegnare ai gamberi a camminare in avanti. Ed ecco che cosa ci ho guadagnato: vivo tutto solo, e la gente si mozzerebbe la lingua pur di rivolgermi la parola. Fin che sei in tempo, dà retta a me: rassegnati a fare come gli altri e un giorno mi ringrazierai del consiglio.

Il giovane gambero prosegue il suo cammino.

Non tutti hanno la forza del giovane gambero, o hanno la fortuna dell’elefante variopinto. A volte essere discriminati fa male, così male, che le differenze ci schiacciano fino a farci appiattire. Fino a non essere più noi, fino a desiderare di non essere più nessuno. Di integrazione bisogna parlare, perché è un tema sempre attuale, che riguarda tutti, variopinti e grigi.

Io voglio salutarvi come Rodari saluta il giovane gambero alla fine della sua storia: augurandovi buon viaggio. Continuate dritti per la vostra strada: vi assicuro che troverete chi saprà guardare oltre. Dentro.

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