Il nostro mare, quello di Andrea Camilleri
C’è un mare, in ognuno di noi. Il nostro mare.
Un mare calmo e impetuoso, cristallino e scuro, vasto o ristretto, a seconda dell’animo di coloro che decidono di guardarlo. E’ cangiante, questo mare, non ha una sola forma, ne ha tante. E’ colorato, non è soltanto blu ma può acquisire i colori del mondo, se solo volesse. L’acqua che risplende in esso ristora e rinfranca lo spirito. Ma noi abbiamo paura a guardarlo. Temiamo quel mare, quella vasta distesa acquatica che ci si para davanti come un titano dormiente, come se avessimo paura che quel gigante si risvegliasse all’improvviso, pronto a divorarci. Lo temiamo, ma nel nostro subconscio desideriamo ardentemente di buttarci in acqua e nuotare fino a quando i nostri piedi non toccano più il fondo, fino a non vedere più la terraferma e continuare ad andare più avanti, sempre più in là. Ma non succede mai: Rimaniamo lì, sulla spiaggia, volgendo le spalle a tutta quell’acqua che ci chiama e sussurra il nostro nome.
Lui invece no. Lui guardava il suo mare fin giù nei suoi abissi.
Si metteva seduto proprio sulla riva con i suoi occhiali poggiati sul suo nasone, i capelli bianchi tirati indietro e una sigaretta accesa in bocca. Mentre aspirava il fumo e l’aria salmastra lui, in quel mare, ci si tuffava allegramente e faceva lunghe nuotate senza mai fermarsi, senza alcuna sosta. Noi osservavamo incuriositi quel vecchio signore che non aveva paura del suo mare. Anzi, in quell’acqua, sembrava che lui trovasse la sua dimensione, il suo spazio vitale, qualcosa per cui valga la pena nuotare. Poi usciva, prendeva carta e penna e scriveva.
Scriveva sempre di questo commissario integerrimo, astuto e pieno di sani principi. Amante della buona tavola, delle lunghe passeggiate e delle belle donne, sebbene il suo cuore era fedele ad una sola tra loro. Anche questo commissario aveva il suo mare, e come il suo creatore, adorava fare lunghe nuotate in esso per lavar via tutti i dubbi, le inquietudini e le malinconie che il suo lavoro gli procurava ogni giorno,assieme alle ingiustizie e ai soprusi a cui doveva porre rimedio. A volte ci riusciva, a volte no.
Noi ci siamo seduti di fianco a quel bislacco signore che nuota con la sigaretta accesa in bocca, tramite la sua voce rauca abbiamo ascoltato le storie di quel commissario che ne sapeva una più del diavolo, che non si piegava di fronte a sciocche istituzioni, insensate barbarie e a una malvagità che è divenuta padrona del nostro tempo, ma l’affrontava con tutte le armi a sua disposizione. Senza un attimo di tregua, sempre in prima linea. Un commissario riflessivo, spontaneo e unico nel suo genere.
Non solo: quel signore sembrava avere una conoscenza così ampia da far invidia a un veggente: ci ha insegnato che questo mare, il nostro mare, è qualcosa di cui non dobbiamo aver paura, che è parte di noi e noi di lui. Le sue acque tramandano un sapere che non possiamo buttare via o scacciare, ma che dobbiamo abbracciare e usufruirne. E’ il mare della nostra immaginazione, della nostra fantasia e della nostra libertà d’esistere. Non dobbiamo temerla, ma amarla. Per amare noi stessi esattamente come siamo, senza mai ripudiarlo.
Il nome di quel bislacco signore era Andrea Camilleri.
Oggi, nel suo mare, Andrea ha deciso di accendersi un’altra sigaretta, ha chiuso il suo taccuino ricolmo di storie,si è alzato in piedi e si è goduto fino in fondo quella meravigliosa vista che i suoi occhi stanchi gli hanno concesso di vedere, e non soltanto guardare. Poi, ha gettato il mozzicone nella sabbia e si è buttato in acqua, nuotando verso il largo a grandi bracciate. Noi siamo rimasti un po’ spaesati e confusi nel vederlo allontanarsi così: volevamo che ci racconti altre storie, che il suo Montalbano, commissario coraggioso, ci desse l’ennesima brillante deduzione fatta di logica e talento e risolva un altro caso. Volevamo sentire ancora la sua voce rauca e odorare il profumo delle sue sigarette, mentre ci insegna a non aver paura del nostro mare.
Lui si è girato verso di noi, tutti noi, e ci ha salutato con un semplice gesto della mano e un pigro sorriso pieno di felicità. E ha continuato a nuotare in avanti, sempre più in là, fino a che i piedi non toccano più il fondo, fino a non vedere più la terraferma.
Testi di Valerio Angelucci
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