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Moon: riscoprire un altro lato

Parlare di allunaggio e, di conseguenza, del nostro celebrato satellite spalanca prospettive affascinanti. Il brivido dell’avventura, il tentativo di superare i propri limiti, la consapevolezza del fatto che quel “piccolo passo dell’uomo” possa cambiare le sorti di una specie sono spinte propulsive spettacolari per la fantasia. C’è chi, però, ha indagato anche sul “Dopo”, su ciò che potrebbe accadere passato l’euforia. Come verrebbe utilizzato il suolo lunare? Chi ne trarrebbe beneficio e chi verrebbe sfruttato per biechi scopi altrui?

Un affascinante tentativo di rispondere a questa domanda lo ha fornito un film uscito esattamente dieci anni fa e che porta nel titolo stesso il tema che qui a Niente da Dire stiamo sviscerando questo mese: Moon. Opera prima di Duncan Jones, cineasta all’epoca trentottenne ed esordiente assoluto se si escludono un paio di corti, Moon è approdato in sala nello stesso anno di District 9 di Neil Blomkamp, dimostrando l’esistenza di una nuova generazione di narratori dediti alla fantascienza. Certo, il buon Duncan aveva un peso non indifferente da schivare dato che suo padre era un certo David Bowie ma il suo totale disinteresse nell’inseguire una carriera musicale lo ha salvato.

Moon racconta la storia di Sam Bell, operaio che sta per concludere un turno durato ben tre anni in totale isolamento sulla stazione mineraria della Lunar Industries, situata, come potete immaginare, sulla superficie del nostro satellite. Non vede l’ora di tornare a casa da moglie e figlia con i quali non è mai riuscito a comunicare causa disturbi di trasmissione (ha solo ricevuto i loro messaggi senza poter rispondere) e vive in compagnia di un computer tuttofare, GERTY, che gestisce la base stessa.

Peccato che, a poche ore dall’arrivo di coloro che lo riporteranno sulla Terra, il protagonista si ritrovi ad affrontare un enigma impossibile: un altro Sam Bell, del tutto identico a lui, vaga per la stazione lunare! Potrebbe essere un’allucinazione dettata dall’isolamento, un primo passo verso la follia che lo stesso operaio ha sempre temuto di dover affrontare, complice quell’incarico disumano… ma potrebbe essere qualcosa di ancora più terrificante.

Raccontare il resto dell’intreccio sarebbe un peccato mortale, nonostante il decennio che ormai ci separa dall’uscita di questo film. Moon non gode di un budget elevato e, per questo, fa di necessità virtù lavorando di modellini ed effetti ottici. Si avvale di un interprete monumentale, quel Sam Rockwell che all’epoca era ancora un caratterista amato da pochi e ora è un Premio Oscar molto noto, e di Kevin Spacey che presta la voce al robot GERTY nella versione originale. La regia di Jones non può eccedere in virtuosismi per le ristrettezze economiche e , spesso, gira intere sequenze senza adottare il tradizionale “Campo-Controcampo” pur di risparmiare tempo; così facendo, però, conferisce al tutto un aspetto caratteristico e anticonvenzionale.

Soprattutto, Moon racconta la Luna come un luogo tetro e per nulla affascinante. La superficie grigia avvolta dall’oscurità, costantemente gelida e cupa, avvolge la figurina del povero Sam Bell e lo opprime come una perenne minaccia. Non c’è nessun trionfalismo nel fatto di avere colonizzato quel luogo e non c’è fascino di fronte a quell’immensità nera e senza fondo.

Moon è il racconto di come siamo riusciti a sfruttare anche quella meraviglia, condannando nostri pari a vite atroci per il beneficio di pochi. Così è sempre stato e così, pare, sarà. Fino all’ultimo sussulto di Sam Bell, la sua scelta finale che non sveleremo ma che rappresenterà la prima crepa in un sistema sempre uguale a se stesso, che si tratti della Terra o che si tratti della Luna.

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