A cosa è servito andare sulla Luna?
Gli uffici delle agenzie governative sono tra i posti dove ti aspetti più ordine, dovendo loro coordinare sforzi nazionali di vastissima portata tra mille mila progetti. Ma gli uffici della NASA nel 1961 erano incasinatissimi in un modo ben più simile al laboratorio di Mago Merlino di La Spada nella Roccia.
E come nel film sopramenzionato, anche qui c’era molto fermento riguardo qualcuno da allenare per un’impresa pressoché impossibile. Quell’anno infatti, J.F. Kennedy, presidente degli USA, aveva annunciato un obbiettivo per il proprio paese, talmente incredibile e futuristico da lasciare tutti senza parole: Mandare astronauti fino alla Luna, atterrare e poi ripartire per tornare a casa sani e salvi, dopo aver fatto camminare per la prima volta umani sulla superficie di un altro mondo del Sistema Solare!
Anche a scriverlo o leggerlo oggi, ormai più di mezzosecolo dopo, fa venire la pelle d’oca!Immaginate però come doveva essere all’epoca, quando ancora era un mezzo miracolo mandare in bassa orbita terrestre anche solo un piccolo satellite di poche decine di kg.
Quello che si chiedeva alla NASA era di fare l’impossibile. Nessuno sapeva ancora come arrivare fino alla Luna, o come comunicare con una missione fino a lì, o se gli esseri umani potevano sopravvivere al viaggio, o se una navicella fosse in grado di poggiarsi sulla regolite lunare senza sprofondare, o anche solo costruire una tuta in grado di permettere agli astronauti di uscire dalle navicelle. Ah, senza contare che ancora nessuno sapeva come avremo costruito un razzo così grand e così complesso da lanciare fino a quasi 400.000 km, decine di tonnellate di materiale.
Eppure, in meno di 1 solo decennio, appena 11 anni dopo il lancio del loro primo satellite, gli USA sono riusciti per davvero nella storica impresa, ed a luglio del 1969, Neil Armstrong e Buzz Aldrin poggiano i loro piedi sul suolo di un altro mondo, con 600 milioni di spettatori da casa, segnando per secoli a venire la storia dell’umanità.
Qua sopra, nascosta tra le pieghe dei discorsi, c’è la prima e più grande eredità che ci è rimasta dai programmi Apollo in termini pratici. Non si nota facilmente perché siamo abituati a pensare a cose più tangibili in senso immediato, ma c’è! Chiedetevi questo: se davvero era così difficile risolvere tutti quei problemi per arrivare sulla Luna, come ci sono riusciti gli USA? La risposta è facendo un enorme investimento in ricerca scientifica e tecnologica, e ingaggiando mezzo milione di persone in questa impresa titanica! Dalle università, ai centri di ricerca e test a laboratori più vari, nessuno era pronto per una sfida del genere, e tutti ricevettero enormi incentivi per fare un salto di qualità pazzesco. Furono fatti sforzi enormi per incoraggiare molti più giovani a continuare gli studi, specie in materie scientifiche, e nacquero tantissimi nuovi centri di ricerca che continuano ad esistere fino ad oggi.
Anche tralasciando il programma Apollo, questo investimento ha generato per conto suo un aumento senza pari di nuove scoperte, esperimenti e semplicemente di nuovi scienziati ed ingegneri, che successivamente sono andati a popolare le più grandi nuove giovani aziende di quei anni, da Intel a Microsoft ad Apple e così via.
L’importanza dell’impressa lunare come catalizzatore per una miriade di cambianti, si vede anche in cose più tangibili come la storia dei microchip! La NASA infatti era il cliente più grande di questa nuova tecnologia e mentre persino aziende come IBM li aveva scartati, l’agenzia spaziale ci aveva puntato il tutto per tutto, riuscendo a creare un computer potente quanto quelli grandi come stanze, ma abbastanza piccolo da entrare dentro la navicella spaziale. La sfida fu vinta e quel milione di microchip ordinati dalla NASA aiutò questa piccola industria nascente a decollare.
Se volete una dimostrazione dell’eredità di quel programma, beh guardatevi intorno… L’intero mondo digitale, dai computer, ai cellulari, alla rivoluzione che hanno portato poi i social network, hanno tutti radici nel programma Apollo.
Lo so che quando si parla degli aspetti utili dell’esplorazione spaziale tutti parlano di nuovi materiali scoperti, il GPS, migliori medicinali e cure o sistemi per purificare l’acqua o resistere ad altissime temperature per proteggere i vigili del fuoco, etc, ma se invece di singole cose specifiche, guardiamo al quadro globale, l’investimento in nuove ricerche e tecnologie è di gran lunga quello che più ha rivoluzionato il nostro mondo.
Non tutte le rivoluzioni però riguardano nuove scoperte tecnologiche. Alle volte la scoperta siamo noi, e le nostre relazioni.
Prima menzionavo quanto fu importante e diverso il computer a bordo delle missioni Apollo per esempio… Beh a programmare molto del software fu Katherine Johnson, matematica, fisica ed informatica che lavorava per la NASA e che diede un contributo enorme non solo a questa missione a ma in generale al modo in cui venivano programmate le missioni spaziali.
Nonostante questo però, essendo una donna, fu presa molto meno in considerazione e molti dei meriti dati ai suoi colleghi maschi a lei arrivarono decenni dopo. Come lei ci furono innumerevoli altre donne che avevano giocato ruoli fondamentali, e furono considerate appena dalla stampa. Dalle donne matematiche (riguardo a cui vi consiglio il libro o film “Il Diritto di Contare”), a quelle che lavoravano nel reparto medico, o di test per aiutare il povero Arturo prendere la spada (che nella nostra metafora sono gli astronauti che devono allenarsi per partire con i razzi nello spazio). A quelle che hanno lavorato come ingegnere, fisiche, chimiche, o anche come sarte per preparare le complesse tute spaziali che servivano per caminare sulla Luna. Tutto questo poi subendo in tanti casi discriminazioni ed un posto di lavoro molto ostile.
Il loro contributo però fu un passo avanti per le battaglie femministe dell’epoca, ed un passo importante contro la cultura sessista interna non solo alla NASA ma a tantissime realtà lavorative degli anni ‘60, ‘70, durante le missioni Apollo.
Il programma Apollo fu un’impresa fondamentale per avviare in carriere scientifiche moltissime donne, molte più di quanto non era mai successo prima, ma fu solo l’inizio. Per vedere una donna astronauta della NASA bisognava aspettare il 1983 per esempio.
In mezzo a tutte quelle lotte per un modo migliore (dalle battaglie femministe a quelle contro la guerra in Vietnam a quelle contro le dittature e diritti civili, fino a quelle nascenti per i diritti LGBTQI+) vedere che anche le cose più impossibili possono essere possibili, come quando vuoi lanciare umani fino alla Luna e riportarli a casa, oppure creare un mondo in cui persone possono sposarsi a prescindere dal loro orientamento sessuale, è stato come un lampo a ciel sereno, rimasto impresso nella memoria di tutti a dimostrazione di quanto può fare lo spirito umano.
E per me, per quanto belle siano le invenzioni tecnologiche che abbiamo ereditato dal programma Apollo, è questa prospettiva di meraviglia e voglia di fare l’impossibile, nonostante tutto, che ha dimostrato perché ne è valsa la pena andarci.
Testi di Adrian Fartade
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